Si dice che un poeta, per esser grande, deve anticipare, precorrere i tempi in virtù delle sue illusioni divinatorie ma un poeta come Fernando Pessoa non precorre né vuol preannunciare nulla, anzi, proprio perché incapace di farsi araldo di alcunché, accoglie in sé altre anime capaci, a suo modo, di esprimere più significati di quanti ne siano possibili ad una sola vita. Tra le sue pagine Pessoa definisce se stesso come «una sola moltitudine», egli è Fernando, ma anche Alberto Caeiro, Alexander Search, il signor Crosse, insieme a tanti altri, e da bambino, nel suo primo eteronimo, nomina se stesso con l’attributo di Chevalier de pas, quasi un eco dell’ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, l’antico paladino di Spagna in lotta contro i noti mulini a vento. Pessoa rappresenta – e allo stesso tempo nega – l’essenza contraddittoria del suo secolo: egli, come altri in seguito, non vuol essere coinvolto nel turbine del mondo e vorrebbe, come il suo eteronimo Bernardo Soares nel Livro do Desassossego, solo restare alla finestra contemplando, non necessariamente dall’alto, le forme colorate e la vita che le strade di Lisbona intersecano con lucenti abilità di colori e profumi. È anche per la sua grande capacità di vivere le vite che si nascondono nella vita che la scrittura di Pessoa riesce a trasportare il lettore dentro i suoi universi fatti di strade, balconi, luci e viaggi dentro l’anima del poeta. Pessoa è capace di far respirare l’aria della stanza dalla cui finestra il suo eteronimo Bernardo contempla le strade di Lisbona. Di Pessoa sappiamo pochissimo e di lui abbiamo rischiato di perdere tutto. Da vivo pubblicò un solo libro e conservò i suoi manoscritti in un baule la cui storia è ancora tutta da raccontare. Sappiamo che Pessoa era un uomo apparentemente tranquillo, una figura dell’inquietudine: scriveva perché non poteva fare altrimenti, vivendo del magma della sua arte in cui ogni nuova coscienza partorita non si riconosce mai uguale a se stessa. Fernando non trascorreva le ore sulle pagine affinché gli dessere dell’argento, ma consumava matite e inchiostro perché ignorava un modo diverso, o migliore, per fronteggiare il riflesso cangiante delle vite dentro la vita.
Nella scrittura di Pessoa e nei suoi eteronimi c’è il riflesso che il suo secolo proietta nelle anime sensibili; c’è il senso di tante disperazioni e la contrapposizione ad una realtà da cui si ritiene estraneo. Forse Pessoa rappresenta il Novecento più e meglio di altri autori perché, con il suo sottrarsi al caotico ballo, ne mostra le innumerevoli falsità e inconcludenze che trascinano i loro piedi pesanti fin nel nostro secolo. Fernando ha rischiato di trovarsi tra le pagine della storia mai scritta, sarebbe bastato veramente poco perché perdessimo tutto di lui, ma oggi egli è qui e sorride ancora di un tempo che cerca negli uomini meno di quanto essi possano dare o dire.
(Sergio Caldarella)
Testo parzialmente pubblicato sul quotidiano «La Stampa»).
Nella scrittura di Pessoa e nei suoi eteronimi c’è il riflesso che il suo secolo proietta nelle anime sensibili; c’è il senso di tante disperazioni e la contrapposizione ad una realtà da cui si ritiene estraneo. Forse Pessoa rappresenta il Novecento più e meglio di altri autori perché, con il suo sottrarsi al caotico ballo, ne mostra le innumerevoli falsità e inconcludenze che trascinano i loro piedi pesanti fin nel nostro secolo. Fernando ha rischiato di trovarsi tra le pagine della storia mai scritta, sarebbe bastato veramente poco perché perdessimo tutto di lui, ma oggi egli è qui e sorride ancora di un tempo che cerca negli uomini meno di quanto essi possano dare o dire.
(Sergio Caldarella)
Testo parzialmente pubblicato sul quotidiano «La Stampa»).