Sunday, June 9, 2013

Le colpe della rappresentazione


Nell’epoca contemporanea, anche grazie all’uso e all'ausilio dei tanti orpelli e giocattoli elettrici ed elettronici, tutto sembra si sia trasformato in spectaculum, in qualcosa non più da guardare, spectare, ma in qualcosa che, per esser degno d’attenzione, richiede dapprima una scenografia ben posta per far sí che il nostro sguardo non venga turbato proprio da quell’artifizio con cui la rappresentazione scenica ci viene mostrata: la finzione deve sembrare naturale. Un film fatto bene è quello in cui non si vede la mano del regista, così come in una società regolata non si devono vedere le dita dei pochi con le mani sui bottoni. L’attenzione psicologica dei contemporanei richiede ormai una techné per nascondere l’artificio con cui ci viene mostrato il mondo e tali téchnai vengono comunemente dette scenografia, sceneggiatura, ma anche pubblicità, propaganda o politica.
Tra i tanti effetti deleteri, questo nuovo paradigma trasforma la visione in una visuale sull’artefatto e conduce ad una concezione della visione quale “visione scenica”. Dopo l’antica trasformazione della narrazione in storia, ἱστορία, ossia racconto di cose vedute, e del mondo in rappresentazione (Vorstellung), anche il ragionamento, le idee e la conversazione diventano ora elementi di una rappresentazione e, senza la loro bella cornice, non si riescono quasi più ad ascoltare oppure, se mancano dell’artifizio dai molti nomi, non vengono considerate degne di nota. Tutto si trasforma così in coreografia, in una questione di rappresentazioni, titoli, cornici, scenografie, consensi e artefatti vari. Questa trasformazione della percezione e, dunque, anche questa comprensione speciosa che, in prima battuta, si presenta magari come semplice mentalismo, è ancora e sempre il solito vecchio e tremendo egocentrismo che, indossando nuovi panni sgargianti, ora non vuol soltanto continuare a porre al centro di tutto la sua microbica singolarità percettiva, ma una percezione ben regolata in una rappresentazione calibrata da ben studiate téchnai.
Uno tra i tanti risultati di questa nuova impostazione è che tutto, dalla vita all’arte, viene ridotto alla sua rappresentazione, ossia all’effetto scenico. Basta presentare una cosa con la giusta combinazione di frizzi e lazzi per dargli pari dignità d’argomento con qualunque altra. Del resto una civiltà dell’immagine è anche una civiltà dell’illusione ed è forse anche per questo che tanta parte degli uomini contemporanei è fatalmente appesantita da illusioni di benessere, felicità ed eternità che, con l’ausilio delle téchnai di cui sopra, vengono fatte apparire come le sole verità possibili dell’esistenza. Un tempo saremmo forse stati avvertiti con il proverbio: chi va appriesso a ‘o cecato fernesce dint’o fuosso.
 
(Sergio Caldarella, Le colpe della rappresentazione, in Commento: Rivista di Studi Critici, nr. 7, Roma 2013, p. 48)