Sunday, August 16, 2009

L’Italia da fare e l’Italia da dimenticare

Partiamo innanzitutto da un punto fermo: la nota frase attribuita al marchese Massimo d’Azeglio secondo cui l’Italia era stata fatta e quello che restava ancora da fare erano gli Italiani non ha mai avuto alcun fondamento di verità e non solo per via dell’incerta attribuzione. L’altisonante dichiarazione piace, forse, a chi ha il gusto della retorica – questo sì antico vezzo italico, ma già ai tempi del marchese d’Azeglio gli Italiani erano belli e fatti, tanto quanto lo sono oggi. Quando i moderni pronipoti illegittimi del D’Azeglio parlano delle “profonde” differenze tra il nord e il sud d’Italia invocando federalismi bottegai, in realtà confermano proprio quella profonda unità d’Italia, invisibile solo quando non la si vuole proprio vedere.
Se gli Italiani non fossero già stati “fatti” in illo tempore, come si potrebbero allora spiegare certe continuità storiche nelle loro scelte? Gli Italiani erano già “fatti” ancor prima del Machiavelli. Cos’è altrimenti la Divina Commedia, se non una maestosa allegoria poetica dell’Italia di ogni tempo? Se riconosciamo questo fatto possiamo allora ben dire che il carattere dell’Italiano preesiste all’Italia. In Dante ci sono i cornuti e i santi, gli eroi e i carnefici, i vili e le vittime, gli amanti e gli indifferenti, i poveri di spirito e i poveri per lo spirito. In Dante c’è l’Italia tutta e in questo risiede la sua costante attualità al punto che Benigni, nelle sue letture pubbliche del poeta, riesce ancora oggi a riempire intere piazze in tutto il Paese.
Gli Italiani non sono uniti nelle virtù, quanto lo sono nei vizi e nelle radicate cattive abitudini. Il fascismo, movimento politico autenticamente italiano, invocava con voce grossa le "nobilissime virtù italiche", preferendo ignorare che gli Italiani sono invece accomunati non dalle nobili virtù quanto dai grandi difetti. Nella virtù gli Italiani sono tutti diversi, nei vizi tutti uguali.
Quando si capisce la coerenza storica – e intendiamoci “coerenza” non è sempre una parola buona – della mentalità italiana, allora si capisce la drammatica similarità dei vari capi e capetti del Bel Paese e delle buffonerie con parvenza di serietà come Starace che si tuffava nel cerchio di fuoco, Angelino Alfano Ministro della Repubblica, la decadente dinastia dei Savoia, il pagliaccio in nero del Ventennio, l’oscuro Andreotti, il piazzista Berlusconi e tutta la pletora di conduttori e caudatari che da sempre circonda questi figuri. Il largo gradimento degli Italiani per questi raffazzonatissimi leader è proprio uno dei segni della loro profonda unità.

(© Sergio Caldarella)

Saturday, August 8, 2009

Non toccate i comici: sono persone serie!

Quando al buon Bertoldo venne ordinato di inchinarsi davanti al suo principe lui interpretò l’ordine a suo modo, girandosi di spalle e mostrandogli, così, il suo non certo piacevole fondoschiena. Bertoldo, magistralmente interpretato da Ugo Tognazzi nel film omonimo, invertendo certi vuoti formalismi di corte, si faceva indirettamente beffe della presunta supremazia del potere, mostrandone, al contempo, il ridicolo che sempre si cela, ma non tanto bene, dietro le ciprie e i belletti con i quali ogni potente ama mascherare le sue umanissime debolezze. Dobbiamo allora dire che sono stati i giullari e i buffoni a dire, ancor prima del bimbo della fiaba o dei filosofi, che “il Re è nudo”? Certo i comici l'hanno sempre detto a modo loro, in una maniera che poteva essere intesa solo da chi avesse orecchie abbastanza fini per intendere. Quelli di Bertoldo o di Giufà, si sa, erano tempi oscuri, e l´unico modo per sbeffeggiare il potere era quello di sorridergli ammiccando o di fingersi tonti. Oggi, epoca di incerte libertà, i comici si sono “emancipati” e possono, per nostra fortuna, raccontare la verità senza dover, almeno apparentemente, dipendere o temere il potente di turno.
In una nazione come l'Italia, paese curioso per definizione, è da tanto che la verità sui Palazzi del Potere ce la raccontano, in gran parte, proprio i comici, giovandosi anche dell’involontario aiuto dei nostri giullari eletti, i seriosi rappresentanti del popolo! Basti pensare alla comicità indiretta di personaggi quali il Presidente del Consiglio Berlusconi (come direbbe Benigni: “non è uno scherzo, è davvero il presidente del Consiglio”) dei vari leghisti, di Clemente Mastella che sembra uscito da un fumetto di Topolino o di Ignazio La Russa che avrebbe certo fatto la gioia di Gustavo Dore’, quando illustrava alcuni cantici dell’inferno dantesco. Costoro sarebbero infinitamente comici se non fosse per il fatto che occupano posizioni politiche terribilmente serie.
Del resto in un'epoca barzellettiera, cosa può esserci di più serio di un comico? Considerando anche che il più recente premio Nobel per la letteratura è stato assegnato a Dario Fo, decano dei giullari italiani.
Moni Ovadia ripete spesso che, considerati in maniera oggetiva, si potrebbe mai pensare a qualcosa di più ridicolo di un Goebbels o di un Hitler che, piccoli gracili e neri di capelli, predicavano l´avvento di un popolo di biondi alti e forti? Le conseguenze delle loro azioni ci impediscono, purtroppo, di gustarne appieno il ridicolo. Eppure, già in quell´epoca, ne “Il grande dittatore”, messo in scena nel 1940 da Charlie Chaplin, ancora un comico, si raccontava una verità che molti politici si rifiutavano di ammettere denunciando, allo stesso tempo, il ridicolo del pomposo Cancelliere tedesco Adolfo Hitler. Sarebbe bastato guardare meglio quel film per capire molte cose e forse per evitarne anche altre. Non sarà allora che in Italia, guardando meglio i comici, si capisce meglio la storia attuale che non guardando i vari telegiornali e le loro continue risse o quasi-notizie tra cronaca nera e soubrettes?
Sovviene allora un pensiero: non sarà che i comici, sapendo di non potersi prendere sul serio perché la vita è troppo seria per esser presa seriamente, ricordano – e non vagamente – il grande Socrate, il più sapiente degli uomini, che l’unica cosa che sapeva era proprio di non sapere? L´Accademia di Stoccolma pare si sia da tempo accorta di questa peculiarità.
Qualcuno ha anche detto che il riso è la forma più alta di magia, potremmo aggiungere che, forse, è anche la forma più alta di sapienza.

© Sergio Caldarella, 2006.