Friday, August 2, 2013

Umberto Galimberti e la Shoah


Prima d’inviare questo messaggio ho riflettuto a lungo chiedendomi le ragioni per le quali ritenevo fosse appropriato e importante condividere questo video di un noto accademico italiano che oggi vende fino a 240.000 copie di un suo testo di filosofia o giù di lì e, passando per uno di quelli buoni, ossia la classica mela sana nel cestino delle mele marce, si lascia andare a delle dichiarazioni che mostrano invece un sottofondo di spaventosa indifferenza e assenza di sensibilità culturale tanto tipici del suo ambientino di ciambellani piccolo borghesi e caudatari. Come potrete ascoltare, se vorrete, c’è un punto dell’intervento “I miti del nostro tempo”, tenuto dal Galimberti al Premio Biblioteche di Roma del 2010, in cui il Nostro pronuncia una frasetta che turba sia per l’indifferenza che mostra verso la Shoah, sia per il fatto che viene detta in un consesso reputato colto e da un individuo reputato altrettale. Per non doversi subire l’intero discorso basta cliccare sulla barra del video (http://www.youtube.com/watch?v=svhAclfto5k) a (0:30:50) ed ascoltare lo strabiliante commento del Galimberti quando dichiara: “perché l’Olocausto è una cosa importante? Perché gli ebrei sono un popolo colto”! Sic et simpliciter! E, in seguito, aggiunge che il massacro degli armeni non è, invece, così importante perché gli armeni non sono un popolo colto! È sinceramente strabiliante che un personaggio di riferimento della presunta cultura ufficiale (questo dimostra ancora una volta che la cultura ufficiale non esiste davvero, ma è appena una mala trovata di gerarchetti e ciambellani vari) non si renda neppure conto della gravità di una tale dichiarazione né, evidentemente, della portata storica e cataclismatica di un evento come la Shoah che lui riduce ad una dichiarazione dai toni foschi!
Dire che la Shoah “è una cosa importante perché gli ebrei sono un popolo colto” – oltre alla perturbante connotazione surreale – indica che chi la pronuncia non ha inteso assolutamente nulla di quest’evento, neppure il linguaggio, infatti, nonostante la sua conoscenza del greco, Galimberti continua anche a ripetere il termine “olocausto” che, nonostante il suo uso comune, contiene una grave inadeguatezza concettuale in riferimento alla Shoah. Colpisce, inoltre, che un mostruoso accadimento storico di tale portata possa venir ridotto al rango di un evento noto al pubblico per il fatto che il popolo ebraico è un “popolo colto”! Con tutte le ambiguità che una tale generalizzazione pone. In Italia si tengono congressi, seminari, conferenze e giornate della memoria sui temi dell’ebraismo, ma pare non se ne tragga il dovuto giovamento se tali dichiarazioni sono ancora concepibili e ammissibili. Magari a questo signor Galimberti chiedono pure di parlare da qualche parte proprio nella giornata della memoria, così può meglio propagare questo revisionismo sottile: la Shoah “è importante perché gli ebrei sono un popolo colto…” che è, poi, anche come dire la Shoah “è importante perché gli ebrei sono importanti… ricchi…con la coda e le corna… e magari si riuniscono la notte nei cimiteri per dominare il mondo… (per tornare ad un classico dell’antisemitismo ottocentesco come i Protocolli).

Ci si potrebbe – e dovrebbe – anche chiedere cosa ne è stato delle domande dei grandi intellettuali che, invece, coglievano nella Shoah una portata trascendentale, interrogandosi se fosse persino ancora possibile la poesia dopo Auschwitz (nel 1949, nel saggio Kulturkritik und Gesellschaft, Theodor Adorno esprimeva con drammatica drasticità il concetto secondo cui: “Nach Auschwitz ein Gedicht zu schreiben, ist barbarisch, scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbarico”, una frase che Adorno sostenne in altri scritti posteriori e contiene delle profondità che lo condussero ad una critica ancora più profonda e radicale della società contemporanea). Questi intellettuali di un tempo andato ben comprendevano che, nella Shoah, vi sono nodi irrisolti e forse non risolvibili perché fondamentalmente impensabili nella loro interezza, poiché l’inumano è sempre al di là della pensabilità umana e quest’assolutamente altro è entrato, con Auschwitz, nella storia e vi è entrato con una dirompenza che il signor Galimberti certamente non intende e risolve invece con una frasetta pericolosissima e indicativa di un clima culturale o pseudotale. La Shoah è un abisso, una cesura, una cicatrice impressa al volto della storia, una ferita che bisogna ancora pensare e su cui non si può smettere di riflettere. Hans Jonas, in un libro brevissimo quanto profondo, arrivava persino a porsi la difficile domanda sul “Concetto di D-o dopo Auschwitz” ponendo l’Onnipotente ed Auschwitz in una complessa e difficile relazione dialogica che ha radici antiche nell’ebraismo (vedi Giobbe). Tutto questo per dire che Auschwitz rappresenta ancora un immenso punto interrogativo nella storia, ma queste domande vengono seppellite sotto questa mole d’incultura e banalità in cattedra e da queste genti chiamate a “pensare” per concorso pubblico.

Questa conferenza di Galimberti, così come altre del Nostro, è anche piena di incongruenze ed errori tanto elementari quanto sintomatici come in quest’altro filmato:
http://www.youtube.com/watch?v=55gpINIItI8
(da 54:00 in poi) dove l’accademico nostrano cita il libro di Gitta Sereny (Into That Darkness, 1974, trad. it. In quelle tenebre, Adelphi 1975) e le interviste/colloqui agghiaccianti che la giornalista ebbe con l’ex comandante di Treblinka Franz Stangl (che Galimberti chiama “direttore”, come se parlasse di una filiale della Conad!) nel carcere di Düsseldorf nel 1971. Secondo il Galimberti, che del libro non avrà forse neppure letto la quarta di copertina, Stangl è ancora vivo e per giunta lo hanno lasciato stare a casa sua!!! (È tutto nel video!) Non reca meraviglia, dunque, che questo signore possa poi esprimersi con tanta leggerezza su uno degli eventi più tetri e ancora incomprensibili della storia che per lui è tale solo perché gli ebrei sono un popolo colto! Stupisce anche che nessuno tra gli astanti abbia colto la gravità di una tale affermazione, ma anche questo è un segno dei tristi tempi.
(Divulgato per la prima volta il 22 luglio 2013 attraverso la mailing list di SpI).