Sunday, February 26, 2012

Federico Zeri: un maestro del nostro tempo.


Di poche persone si possono scrivere talmente tante cose così come su Federico Zeri ed anche per questo turba l’animo pensare che Zeri non sia più con noi, anche se lo si può ben immaginare con il suo sigaro, sopra qualche nuvoletta ben modellata, retto su uno dei suoi bastoni da passeggio a borbottare ancora per lo scempio che è il nostro mondo. Difficile, dicevamo, dire qualcosa su Federico Zeri, impossibile descrivere ciò che era: un uomo vissuto, da appassionato cercatore dell’intelletto, all’insegna di poliedriche verità che ad altri sfuggiranno in eterno.
In una sua lettera dattiloscritta datata 28 settembre 1998, pochi giorni prima della sua scomparsa, Zeri mi scriveva: “Non potrei essere maggiormente d’accordo su quanto Lei dice circa l’apatia italiana per le nuove idee, la provinciale arretratezza e la disonestà dei cosiddetti ‘intellettuali’. Quanto all’università ed al suo andazzo, io la considero un flagello dell’Italia: è inutile combattere la Mafia se non si affonda il bisturi in quella vera e propria associazione a delinquere, che sforna la miserabile classe politica italiana”. E’ da queste sue parole, probabilmente tra le ultime cose che ha scritto, che vorrei cominciare a parlare di lui. Con Federico Zeri, nonostante i suoi inviti ad andarlo a trovare nella sua villa di Mentana, non ci siamo mai incontrati direttamente, ma è come se così fosse stato. Le parole di Zeri, oltre al suo erudito e profondo lavoro sull’arte di cui tanti altri hanno già scritto, conservano un messaggio di lucida attualità: la denuncia dello stato culturale del nostro Paese ma, forse, anche della nostra intera civiltà di macchine e orpelli. E il suo sdegno era un segno della sua profonda sensibilità umana.
Alvar Gonzalez-Palacios, in un suo articolo in ricordo di Zeri (Federico un vulcano senza pace, Il Sole 24-ore 11.10.1998), scrive che “L’amor patrio, ad esempio, assumeva in lui un aspetto materno così possessivo da diventare evirante: siccome la nazione, chi la abita e chi la governa, non corrispondevano ai suoi fondati ideali finiva per detestarli (…) Questa corda pazza, di una lucidità talmente tesa da sconfinare nella nevrosi, non gli ha mai consentito, temo, quel distacco che uomini meno brillanti di lui hanno raggiunto". Palacios invoca l’ideale di una cinica mediocrità chiamandolo “distacco” e, grazie a questa riposante categoria, vorrebbe incasellare persino Zeri, colui che non vi si è mai piegato, nel rassicurante castello di vecchie scope del potere. Chi ottiene quel distacco è nemico degli uomini, chiunque si accoda a quel carosello è persino nemico di se stesso, tanto quanto è nemico della collettività. Zeri era uno dei pochi maestri del nostro tempo ed il suo atteggiamento, la sua assenza di cinico distacco, è un in sé un simbolo ed un monito. Zeri era un vero maestro - non stanchiamoci mai di ripeterlo – e non uno dei tanti lacchè del potere capaci di ripetere qualunque copione li nutra e li vesta comodamente. Zeri era un maestro, non dimentichiamolo, non lasciamo che il tempo crudele ci nasconda tra le sue pieghe il senso dei suoi messaggi. Zeri era un vero maestro e per questo si opponeva al sistema della cultura ufficiale costruito sulle parrocchie e le belle parole. Zeri era contro la cultura dei club e dei clan, e per questo in Italia in troppi l’hanno colpevolmente boicottato: Zeri era un maestro e non si piegava alla falsità delle parole, ma spesso vi urlava contro, gettava in faccia ai troppi falsi maestri quelle stesse parole che vilipendevano con una finta serietà di bottega. La sua scomparsa ci priva dell’esempio, quell’esempio che Palacios vuol negare, ci toglie la possibilità di indicare qualcuno che è incomparabilmente più grande di noi e che lotta contro un sistema culturale ridotto ad un baraccone di piccole verità utili a riempire le tante scodelle tese.
Nel mondo della cultura contemporanea c’è un incendio che divampa e pian piano, divorando tutto ciò che incontra, non potrà che raggiungerci, ma allora, in quel tempo, neppure le acque degli oceani potranno spegnerlo. Bisogna fermare la barbarie quando è lontana, perché se varcherà tutti i confini sarà sempre più difficile arrestarla. A Federico Zeri ho dedicato il libro La Società del Contrario, ispirato dalle sue parole e per me, anche in memoriam, sarà sempre un grande maestro. Quando quest’epoca oscena sarà passata, se essa non avrà distrutto e cancellato nell’uomo tutto ciò che lo rende davvero umano, dei maestri come Federico Zeri si ritornerà a parlare riscoprendone le illuminanti intuizioni. È triste pensare che la sua scomparsa abbia privato il nostro povero mondo di un altro dei suoi maestri lasciandoci sempre più in balia di vuoti tromboni illuminati di nulla.

(Sergio Caldarella)