Saturday, March 12, 2011

Perché Berlusconi piace alla gente?


Qui di seguito un articolo pubblicato nel 2003 che sembra ancora oggi tanto attuale...







L´ultimo decennio di vita politica italiana ci ha mostrato, innegabilmente, almeno un fatto: Silvio Berlusconi piace alla gente, piace davvero! Il consenso che Berlusconi ottiene dalle masse è prima un consenso personale, epidermico e, poi, semmai, un consenso politico. Chiaramente Berlusconi ha decine di consulenti d´immagine che lo aiutano nella creazione di questo suo consenso elettorale, ma se lui non piacesse questo non potrebbe certo bastare. Nixon aveva anche i suoi consulenti e, a dire il vero fu il primo ad applicare in politica i metodi dei consulenti d´immagine che, fino ad allora, avevano solo lavorato per i venditori di sigarette e detersivi eppure John Kennedy, nonostante tutto, piaceva alla gente così Nixon perdette. Allora perché Berlusconi invece piace e piace così tanto da destare, in alcuni dei suoi elettori, un fanatismo quasi religioso e far sfiorare, ma che dico sfiorare, oltrepassare ampiamente, la soglia del ridicolo al direttore del TG 4 Emilio Fede (all'epoca dell'articolo non c'era ancora Minzolini da associare a Fede)con le sue iperboli relative al suo amatissimo Presidente del Consiglio? Beh, Fede pare proprio un buon esempio con cui poter cominciare per tentare di capire le ragioni di questo fenomeno: Fede non assomiglia all´uomo medio, Fede è l´uomo medio che dirige un telegiornale. Chiaramente, come ogni uomo medio, Fede non è uno sprovveduto: dapprima è stato alla Rai dove, come sempre avviene in Italia, ha sicuramente avuto accesso solo per i suoi grandi meriti e per le sue ottime capacità giornalistiche. Inutile ricordare che all´epoca del suo ingresso alla Rai il pentapartito imperava e la Rai non era, e non lo è, una sede apolitica. Tralasciamo questi dettagli; Fede, quando era alla Rai, non si era mai lanciato in una difesa senza quartiere di un leader politico o di un altro, non aveva mai detto di amare Craxi, Andreotti, Longo, Lama o Mariano Rumor mentre oggi dice – e non solo - di amare Silvio Berlusconi, perché? Fede è una vecchia volpe e in genere quelli della sua specie non si sbilanciano così allora perché lo fa? Direte che ormai non ha niente da perdere? No, per quelli come lui la cautela e la circospezione sono dei modi d´essere e proprio per questo il suo sbilanciamento totale a favore di Berlusconi è meritevole di più attenta analisi perché ci fa capire quanto l´attuale Presidente del Consiglio (sì, Berlusconi è davvero Presidente del Consiglio!) faccia presa sull´uomo medio portandolo a mettere da parte la sua naturale cautela. Innanzitutto la differenza che più colpisce tra Berlusconi e, per fare un esempio, Andreotti è che il primo non è solo un politico e il capo di un movimento ma ne è anche il proprietario! Se Giulio Andreotti si fosse trovato in minoranza all´interno del suo partito qualcuno avrebbe anche potuto chiedergli di mettersi da parte: Berlusconi invece non può trovarsi in minoranza all´interno del suo partito perché il partito è il suo! Questo all´uomo medio piace: che se ne fa di queste complicate chiacchiere sulla democrazia, dell´analisi delle idee degli altri, della scelta di un modello, etc. quando qualcuno può dire, come i sovrani di un tempo, “qui è tutto mio e si fa come dico io!”. Non mi meraviglierei di scoprire che Emilio Fede, sotto sotto, nutre convinzioni monarchiche che, per traslazione psicologica, ha proiettato sul suo Silvio. Alla gente questo piace perché gli da un´ingenua sicurezza, ma non è certo solo per questo. Berlusconi è diventato famoso anche perché è l´unico leader che, d´un tratto, inizia a raccontare barzellette ai meeting internazionali con grave imbarazzo dei traduttori (perché Berlusconi mastica solo un po' d´inglese e questo ovviamente lo rende ancora più simpatico) millanta di aver composto canzoni in napoletano, racconta freddure sulla propria moglie (e questo già piace un po´ meno si spera almeno alle donne). Per Berlusconi poi il mondo è bianco o nero: da una parte, quella del bianco ovviamente, ci sta lui e i suoi e dall´altra quella del nero, o del rosso, se si vuole, ci stanno i comunisti con Stalin, Bertinotti, Benigni e compagnia bella. Questa è una visione facile del mondo: si capisce subito e per questo piace. Immaginate un Romano Prodi che va in televisione e cerca di spiegare alla gente i complessi sistemi di equilibrio politico internazionale ed un Berlusconi che sorridente gli dice “sì, sì, ma in verità la colpa è tutta dei comunisti”. Ah, che bella spiegazione! Facile, facile! Bastano tre parole! Che sollievo! Così, dopo aver capito tutto della politica, si può risparmiare tempo prezioso per cambiare canale e andare a vedere quegli intelligentoni del Grande Fratello che a loro volta illumineranno il mondo con qualche altra favoletta. Eppoi c´è qualche idiota a sinistra capace ancora di lamentarsi che, continuando così, le cose andranno sempre peggio: ma cambia canale! Tanto sono tutti del Presidente del Consiglio così troverai solo facce sorridenti che ti spiegano tutto di tutto e magari ti fanno anche comprare qualche bel ventilatore o materasso, che poi siano tutte balle beh, questa è ben altra storia....

(Sergio Caldarella, Perché Berlusconi piace alla gente?, pubblicato sul settimanale Tam Tam nel 2003).

Monday, March 7, 2011

Il sussurro della bellezza


La rosa non è ancora la più bella fino a quando non è la più bella delle rose.

(Dr. Divago)

Saturday, March 5, 2011

La guerra alla bellezza


Per quello che riguarda le umane vicende, capire non serve e non è mai servito a nulla, oggi forse ancor meno di prima. È sinistramente suggestivo quando si pensa che gran parte di quanto avviene nel nostro tempo sia già stato preannunciato, spesso con una preoccupante dovizia di particolari, in special modo nell’Ottocento, da pensatori quali Kierkegaard, Stifter, Marx, Nietzsche, Freud ed altri e, in seguito, da Spengler, Ortega y Gasset, Albert Caraco, Adorno, Marcuse, Horkeimer, Fromm, Cioran, etc. Ebbene, tutti questi acuti pensieri e analisi dell’uomo moderno e contemporaneo non hanno per nulla impedito i terribili eventi ed i crimini perpetrati negli ultimi due secoli con una precisione ed una rabbiosità forse mai incontrate prima nella storia. L’uomo medio, le nuova belva inventata dal tempo, è stato dissezionato e compreso fin nei dettagli; ci è stato detto con chiarezza dove ci avrebbe portati e nonostante tutto non è stato possibile fermarlo, anzi è lui che ha fermato tutti e sta pian piano fermando anche il mondo. Ha puntato su di sé tutti i riflettori e per questo l’unica norma di questa società sembra sia la sola banalità che la pericolosissima medietà impone a tutto e a tutti.

La banalità della mediocritas contemporanea sembra sia ovunque e ormai in una funzione totalmente dominante: o ti adegui ad essa o ti adegui ad essa, tertium non datur. Se un tempo si diceva disce aut discede, questi invece dicono o sei omologato come lo siamo noi o sei contro di noi e allora te la faremo pagare. Magari questa è anche una tra le ragioni per le quali la bipartizione amico/nemico, intellettualizzata dal teorico nazista Carl Schmitt, affascina così tanto questa gente. Uno tra i tanti lati terribili dell’epoca contemporanea è che l’autenticità sembra non conti più nulla e per giustificare e giudicare di tutto e su tutto si ricorre ad un cinismo banale e ad un nichilismo volgarizzato. Forse lo stesso cinismo che Calamandrei faceva rientrare tra i segni del "disfacimento morale" della società del tempo. In questo contesto uno dei più preoccupanti prodotti della contemporaneità è proprio la guerra che essa sembra aver dichiarato alla bellezza. Il bello sembra sia stato bandito dalle case del mondo: tutto è stato omologato, “pratico”, senza più curve né sostanza, senza più anima, ogni cosa è copia di qualcos’altro, anche le idee, anche gli esseri umani. Cos’altro è la globalizzazione se non l’estensione planetaria dell’omologazione? Tutti “uguali” ma non quell’uguaglianza buona, quella dei diritti e della dignità, no, anche quella è stata bandita. Quello cui la medietà aspira è l’omologazione chiamandola uguaglianza. Se tutti gli uomini sono e devono essere uguali nei diritti e nella dignità, questo non significa che debbano diventare delle copie di carta carbone gli uni degli altri: uguale ma diverso, questo è invece un motto autenticamente umano.

Ormai si può invece fabbricare tutto: basta solo un accordo tra i molti determinato da interessi monetizzati. Così basta che un gruppo più o meno nutrito – ma compatto – decida una cosa o un’altra ed essa può venir facilmente fabbricata nelle menti della gente. Tra le più antiche e persistenti fabbricazioni di questo genere figura anche l’antisemitismo.

Dal tradimento della fondazione umanistica della filosofia consegue anche l’abbandono di un ideale umano ispirato al Buono al Vero e al Bello in virtù di un modello umano oeconomicus e superficiale. La superficialità è del resto una conseguenza necessaria di un pensiero che ha rinunciato a pensare sull’uomo e sulla sua natura.

Se un’epoca si dichiara illuminata, multiculturale e apparentemente democratica e non chiede ai suoi appartenenti un miglioramento della loro dimensione umana, ma solo una generica obbedienza e la separazione egoistica dagli altri, può essa davvero dichiarare questi altisonanti ideali? Il problema reale consiste nell’avere eletto il mercantilismo ad unica regola d’esistenza e giudizio. Anche su questo punto siamo stati avvertiti alle origini della storia quando grandi sapienti e profeti mettevano in guardia dall’impoverimento che la cupidigia produce: la povertà della ricchezza contro la ricchezza della povertà. Ma anche quest’avvertimento è stato lasciato passare inascoltato.

Questo modo contemporaneo di leggere il mondo porta con sé un’immensità di pene e dolori di cui a prima vista non ci si avvede: crea esseri umani storpiati, uomini che non sembrano più neppure tali, almeno se abbiamo in mente il concetto di uomo delle epoche classiche e dell’Umanesimo. L’uomo del mondo nuovo è un individuo che non osa neppure lontanamente chiedere a se stesso “chi sono io?”.

Senza luce non può darsi nessuna vita e, come dichiarava il sommo Platone «Possiamo facilmente perdonare un bimbo che ha paura del buio, mentre la vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce». Gli umani dovrebbero avere in se stessi la luce del bello, almeno così ci conferma Immanuel Kant al termine della sua Critica della Ragion Pratica, ma quando il mondo intero è in guerra permanente contro la bellezza, quando esso vive nella suprema menzogna di falsi ideali beceri, quali titaniche forze sono allora richieste agli esseri umani per superare la barriera del buio? Le società hanno sì degli scopi materiali, ma pensare che essi siano lo scopo primario e finale è una negazione implicita della società stessa, almeno della società nel suo significato umano e non mercantile. Per il predatore tutto è solo preda, ma l’uomo può dirsi umano proprio in quanto abbandona lo stadio primitivo della belva dirigendosi verso altre sfere. Pirandello argutamente scriveva: «i figli della lupa nascono con i denti». Una società che, invece di portarti verso la luce, ti prende per mano per spingerti ancora più nelle profondità della terra è una società per le belve non per gli uomini ed esser uomini è sempre stato il nostro valore più grande. Senza la luce dello spirito gli esseri umano diventano anch’essi espressione della tenebra. A tutti sarà data un giorno la possibilità di capire, magari con l’ultimo respiro, ma perché aspettare l’ultimo giorno quando tutta la vita è una continua catena di possibilità? Un antico proverbio dice che tutto è porta: ci sono porte verso infiniti e aspettano solo un nostro gesto, la nostra mano che scosti quella barriera per guardare oltre. Perché rinunciare dunque ad uno dei più preziosi doni, limitandosi ad impilare giorni nella collana del tempo? Per assomigliare a chi? Se proprio dobbiamo decidere di assomigliare a qualcuno, perché non scegliere i migliori tra noi? Forse perché la prima cosa che l’uomo smarrisce diventando materia è proprio la capacità di vedere davvero.



(Tratto da: Sergio Caldarella, La guerra alla bellezza, Il Pungolo, Roma, 3 marzo 2011)

Friday, March 4, 2011

Just a note about the poet as a writer and the writer as a poet.


Excellent words are rare, good words not easy and perfect words unique like a passionate kiss between two lovers. Somehow I believe there is always a relationship between love and words, but only a poet can make such a statement or really see or feel everywhere this relationship. For the people there is usually no difference between the poet and the writer, probably because there are so many writers that are writing poetry and so few poets writing novels. But how many of those authors, even among the biggest, are really diving in both oceans of the soul? The poet believes that all in a life rotates around love, and the writer that all in life rotates around words. That's probably the main difference between them. The poet walks next to a lake even when he is in a crowded street surrounded by gray buildings, while the writer should always knows where he is, because after all he needs to describe it. All that matters for the poet is inside of him, all it counts is the beat of his heart when he feels the shine of beauty or suffer the slings and arrows of the adverse world. The writer needs to look around to get inspired, he needs to see people in the face to capture their expressions, like a painter that uses ink instead of oil colors. For the poet all of this is irrelevant, all he needs is inside of him.

Somehow this also recalls the difference between a theoretical physicist and the experimental one: the later needs big expensive labs and machines, while the first just needs pencil, paper and a good library around. Whoever can dig deeply enough inside himself does not really need the world, does not really needs anything but being. That’s probably why in Defence of Poetry (1819) Shelley wrote that Poets are the unacknowledged legislators of the world.
(Dr. Divago)