Wednesday, October 24, 2012

In ricordo di Padre Arcangelo Rigazzi



Tra le tante cose, la morte ha anche la triste prerogativa di porre la vita in prospettiva. La scomparsa di una persona, soprattutto se improvvisa, pone sempre mille interrogativi ai vivi, poiché ci si trova, d’un tratto, di fronte ad un’assenza che è tanto più grande quanto era la presenza di colui che non è più tra noi. Lunedì 22 ottobre 2012 è venuto inaspettatamente a mancare Padre Arcangelo Rigazzi e la sua assenza è già così pesante da lasciare pochissimo spazio per qualunque parola. Ricordarlo è difficile perché Padre Arcangelo era un uomo dalla vitalità fuori dal comune. Per chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene Arcangelo era un prete, un amico, un fratello ed a volte anche un padre ma, più di ogni altra cosa, era un uomo profondamente buono. Di lui ci mancherà tutto: il suo essere un prete così straordinario e così naturale allo stesso tempo e tutte quelle innumerevoli piccole e grandi cose che lo rendevano una persona così speciale. Padre Arcangelo poteva sedere con la stessa naturalezza alla tavola di un principe come a quella dell'ultimo dei poveri. Sapeva sempre trovare la parola giusta per consolare e non perché fosse uno che cercava le parole giuste da dire, ma perché quello che diceva lo sentiva per davvero. Padre Arcangelo non sapeva essere la persona giusta al posto ed al momento giusto, egli era, invece, la persona giusta. Da buon sacerdote Arcangelo amava senza discrimine: è stato missionario nella lontana Curitiba, in Brasile, e per questo parlava un eccellente portoghese, è stato parroco, cappellano del carcere, insegnante, direttore di comunità di accoglienza e, in quello che lui definiva il vero spirito cristiano, ha sempre aiutato chiunque incrociasse la sua strada tanto uomini quanto animali. Ricordo una volta, una tra le tante, in cui mi fece molto preoccupare fermando la macchina nel mezzo dell'autostrada e scendendo nel mezzo di quel traffico serale solo perché aveva visto, da lontano, un cane che, provando ad attraversare, avrebbe potuto restare ucciso! Se fossimo riusciti ad acciuffare quel lazzarone di un cane randagio lo avrebbe sicuramente portato con sé per prendersene amorevole cura: ad Arcangelo bastava attraversargli la strada per venire travolti dalla sua bontà. Quella sera rischiò per salvare un randagio e chi lo conosceva può testimoniare che anteporre gli altri a se stesso faceva parte della sua filosofia di vita. Tutti avevano accesso alla sua parrocchia e per tutti aveva sempre tempo, cura e la giusta soluzione. Alcuni lo avevano soprannominato “il bulldozer di Dio” e, anche se, ufficialmente, non poteva approvare questo nomignolo, da come sorrideva quando lo raccontava sapevo che, sotto sotto, quella definizione gli faceva un pò di piacere. Era davvero un prete travolgente ed era difficile resistere alla sua forza interiore ed alla sua tempra: tra le tantissime cose era anche un eccellente programmatore, adorava la musica classica ed aveva una voce bella e sottile, così come era un ottimo suonatore di mandolino per non parlare poi di quando si metteva ai fornelli: gli dicevo sempre che se non avesse fatto il prete avrebbe potuto essere uno tra i migliori cuochi del mondo e questo era il solo complimento che ricordo non declinasse con la sua schietta modestia.
Su Arcangelo Rigazzi, questo grandissimo uomo e grandissimo prete, si potrebbero scrivere pagine su pagine senza mai raccontare abbastanza su tutto ciò che egli era e di quanto ha significato nella vita di molti. Volergli bene non era difficile, anzi era una tra le cose più facili che si possano immaginare. E adesso che se n'è andato e magari ci guarda già dall'alto dei Cieli con il suo sorriso dolce e lo sguardo buono, capiamo ancora di più quale grande dono sia stato averlo vicino come parroco, come amico o come fratello.
 
 (Sergio Caldarella)


Sunday, October 14, 2012

Il festoso festival di Modena, Carpi e Sassuolo.


 

            Una stolida filastrocca vagamente amata dagli hommes du monde recita: “la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale tutto rimane tale e quale” anche se, nel nostro tempo, il termine “filosofia” pare sia diventato, escludendo i circoli scientifici ed economici, una parola à la mode di cui amano fregiarsi proprio quei borghesi che, con la quale o senza la quale, rimangono davvero tali e quali. Questi signori che ormai non solo discettano di filosofia, ma ne sono diventati i pomposi rappresentanti ufficiali, organizzano persino dei festival e magari, a breve, vi dedicheranno anche un bel carro addobbato per il carnevale di Viareggio. Dicono che, alle conferenze di un manipolo di eletti al recente festival di Modena, Carpi e Sassuolo, abbiano assistito oltre 180.000 persone, un numero certamente impressionante per chi si lascia impressionare dal numero. Quello che particolarmente rattrista è constatare come tutta questa brava gente si sia recata all’evento pensando che avrebbe magari sentito parlare di filosofia, trovandosi invece di fronte ad una sfilza di cattedratici chiamati a pensare per concorso pubblico che gli hanno rifilato le solite lezioni di misosofia (μισώσοφία) passandole, ovviamente, per elevatissima filosofia fresca di giornata. Il grande Manlio Severino Boezio, nel suo grandioso testamento spirituale e intellettuale che è la Consolatio Philosophiae, vergata poco prima della sua esecuzione capitale, lasciava che già a suo tempo l’incarnazione della filosofia lo ammonisse contro queste maschere incipriate: «Pensi tu – dice la filosofia – che questa sia davvero la prima volta che la sapienza corre gravi pericoli ad opera di una società corrotta? (Nunc enim primum censes apub improbos mores lacessitam periculis esse sapientiam?) E non è forse vero che, anche presso gli antichi, prima ancora che vivesse il mio Platone, io ho dovuto ripetutamente sostenere grandi battaglie contro le iniziative sconsiderate degli stolti, e che proprio durante la sua esistenza, il suo maestro Socrate meritò di riportare, con la mia assistenza, la vittoria su un’ingiusta morte? Purtroppo, dell’eredità socratica tentarono in seguito di impossessarsi la plebaglia epicurea e stoica e tutti gli altri, arraffandola ciascuno per proprio conto; e benché io protestassi e resistessi, trascinarono via anche me, quasi fossi una loro preda, mi lacerarono la veste che avevo tessuta con le mie mani e, staccatine brandelli, se ne andarono, convinti, ciascuno, d’avermi portata intera con sé. E poiché in costoro si scorgeva una qualche impronta del mio vestito, l’umana leggerezza, scambiandoli per miei discepoli, spinse sulla strada sbagliata parecchi di loro, con grave danno della moltitudine ignara».

            Il metodo organizzativo di queste manifestazioni è, poi, sempre lo stesso: si creano questi eventi come si creano le carriere tra i corridoi delle accademie o in altre istituzioni ossia invitando parenti, amanti, amici, complici, affiliati ed amici degli amici, un po’ come si fa in tutte le organizzazioni di potere lecito o illecito: mala herba cito crescit. Sorprendono, in tale contesto, studiosi attenti come Giovanni Reale, un filosofo come Carlo Sini o un intellettuale di spessore quale Enzo Bianchi, ma sono mosche bianche invitate per dare quantomeno una parvenza di serietà alla ciarlataneria. Se la nostra non fosse una società del contrario, sarebbe surreale pensare che è dal 2001 che, con grandi schermi, sovvenzioni, bancarelle, tavolate, conferenze, fiaccolate, lezioni magistrali e chi più ne ha più ne metta, vanno avanti con la messincena di questo sedicente festival di filosofia tra Modena, Carpi e Sassuolo. A discolpa degli organizzatori bisogna forse dire che questi poveretti devono arrangiarsi con il tessuto culturale del Paese e bisogna concedere loro che, in un’epoca di mostruosa banalità e omologazione, questi signori che mettono in cattedra possono pur passare per filosofi. Se, però, questi organizzatori spendessero più tempo tra le librerie secondarie e le bancarelle di libri usati, oppure a qualche conferenza in una piccola biblioteca lontana dal trambusto, invece che davanti alla televisione o nelle grandi librerie commerciali, forse scoprirebbero che anche in Italia esiste una cultura più vera e meno di facciata molto diversa e lontana da queste genti lugubri.

            Questi signori che si offrono al grande pubblico con parvenza di pensatori sono talmente presi a recitare da far ritenere che la dote più grande sia la capacità di sapersi fingere filosofi. Sanno fingere a tal punto da finire a fingere di credere loro stessi a quello che fingono (Pessoa lo aveva già scritto anche se in ben altri termini). Per questo bisogna prestare un’estrema attenzione a quel che dicono ed a come lo dicono perché, come diceva il grande Freud, se tacciono con la bocca parlano pur sempre con la punta delle dita. Come ogni buon attore amano un copione ben scritto anche perché gli viene facile da ripetere, così fingono di inebriarsi raccontando di Platone, Cartesio, Kant o Nietzsche, come se davvero sapessero di cosa stanno parlando. In realtà tra quelle stanze del pensiero non ci si sono mai avventurati davvero e, per guadagnarsi un modesto tozzo di pane, orecchiano da dietro le porte e ripetono a memoria e così tutto quello che sanno raccontare sono a malapena dicerie di pensieri. C’è un filmato in cui uno tra questi piccoli uomini (http://www.youtube.com/watch?v=iw7E18X3WqI), uno tra i tanti chiamati a pensare per concorso pubblico, chiacchiera su Friedrich Nietzsche con la sua voce biascicante e, ad un certo punto del suo raccontino annacquato, dichiara tranquillo che, nel suo periodo finale a Torino, il grande filosofo tedesco scriveva ai suoi amici: «delle lettere esaltate dandosi arie da grande pensatore» (sic!). Ecco, basta starli ad ascoltare e si tradiscono! Come si può dire di Nietzsche: «dandosi arie da grande pensatore»!?! Questa frase non dice forse già tutto su chi la pronuncia? Come si può trattare un filosofo del calibro di Nietzsche con tale atteggiamento sprezzante? Forse qualcuno dovrebbe ricordare al professorucolo che Nietzsche non si dava “arie da grande pensatore”, ma era un grandissimo pensatore, una differenza a quanto pare per lui difficile da cogliere. Una famosa frase, variamente attribuita, dichiara che noi non vediamo il mondo così com’è ma così come noi siamo e, in questo caso particolare, il professorino sta più confessando qualcosa su se stesso che dicendo alcunché su Nietzsche. Alcuni tra i pochi direbbero che è una vergogna che la filosofia venga rappresentata da questa gente, ma anche a questi già pochi bisognerebbe rispondere che, proprio per potersi permettere un fiero incedere, costoro la vergogna l’hanno ormai dovuta uccidere da tempo. Eppoi di cosa dovrebbero mai vergognarsi? In sé non hanno abbastanza autocoscienza per dubitare di se stessi ed hanno sufficiente scaltrezza per razionalizzare qualunque loro comportamento e questa capacità di manipolare parole li fa sentire bene ed al loro posto. Quella di usare le parole per assecondarle ad un bieco interesse è, purtoppo, una vecchia piaga umana e non è un caso che Socrate fosse un acerrimo oppositore dei sofisti, ossia di coloro che per primi fecero di questa perniciosa facoltà un credo intellettuale. Ma a questa gente messa oggi in cattedra neppure un Socrate redivivo riuscirebbe a farli dubitare di ciò che si credono di essere e questo non vale unicamente per gli accademici, ma per i politici di professione, manager, plutocrati e patriziati vari che controllano oggi il mondo. Hanno semplicemente imparato a giostrare con le parole solo per assecondare la mediocrità delle loro piccole anime. Credo fosse Flaiano a sentire la mancanza di quei bei cretini di una volta poiché oggi anche l’ultimo dei cretini è diventato un cretino sofisticato. Millenni di trasmissione culturale sono forse serviti a questo? A rendere sofisticata la cretineria?

            Mai come nel mondo dell’uomo nuovo la conoscenza per amore della conoscenza aveva subito le offese che patisce oggi, costretta a vivere in uno stato d’assedio prima ignoto. Ad esempio, quando la gente parla, semmai ne parla, di un’epoca come il Medioevo lo immagina nei modi in cui viene presentato attraverso l’indottrinamento scolastico o cinematografico, ossia come di un’epoca “buia” e terribile (in un recente discorso alle Nazioni Unite anche il Primo Ministro Netanyahu ha proprio fatto riferimento al Medioevo come ad un’epoca oscura, meritando le giuste critiche di alcuni intellettuali israeliani). Se, però, il Medioevo si curassero di studiarlo meglio si accorgerebbero che è, invece, un periodo ricchissimo di cultura, di imprese, di architetture e iniziative politiche, contatti tra civiltà, grandi aspirazioni, scoperte e molto, molto altro ancora. Grandi visioni del mondo e dottrine nascono in quel periodo, ma anche grandi maestri di logica, matematica, eppoi cabalisti, filosofi, mistici, astronomi, navigatori e, chiaramente, anche Santi e cattedrali maestose. Anzi, in quell’epoca che si crede oscura, l’amore per la conoscenza ed i libri aveva i caratteri della sacralità mentre oggi ha il solo carattere dell’orientamento professionale. Studiandolo meglio il Medioevo si presenta come un’epoca di grande vivacità intellettuale mentre, studiando la nostra epoca, se ne trae l’impressione opposta di un periodo intellettualmente piatto e culturalmente scialbo, pericolosamente sepolto sotto i macigni di omologazione, indottrinamento e intrattenimento. La cultura medievale non era centralista come la nostra ma aveva “centro in ogni loco” e Dante ne è forse l’esempio più eccelso.

            Un antico proverbio ebraico si chiede cosa sarà degli altri alberi se il fuoco raggiunge anche i faggi? Ossia, se quelli che dovrebbero essere i migliori tra noi si comportano come i peggiori, che ne sarà degli altri e del mondo? Beh, per rispondere a questa domanda a chi sa ancora guardare basta contemplare quel che ne è del mondo: res ipsa loquitur. Quello che ci offrono è davvero un brutto spettacolo anche se, alla fine, solo di uno spettacolo si tratta, lo stesso che offre la società del capitale con i suoi frizzi e lazzi. Scrivere di tutto questo non è certo piacevole, ma nella terribile emergenza in cui viviamo è necessario sobbarcarsi anche questo povero compito. Difficile dire se un giorno la conoscenza autentica tornerà a presenziare fattivamente nel mondo, ma fino ad allora è bene che certe cose vengano dette anche se da una sola voce che si levi contro il multiforme delirio di questo nostro piccolo tempo.

            La teoria critica insegna che il capitalismo produce delle profonde patologie della ragione e tra queste patologie c’è anche l’annientamento del pensiero sostituito con vino nuovo e annacquato. Molti sono i sistemi e le agenzie che si occupano di questa sistematica distruzione della cultura e, conseguentemente, del pensiero. I veri filosofi tra Ottocento e Novecento ci avevano avvisati, ma troppa acqua è passata sotto i ponti della storia e alcuni grandi pensatori sono stati semplicemente dimenticati ed altri colpevolmente ignorati, spesso proprio per garantire un posticino a quelli che preferiscono stare dalla parte dei potenti e ricevere i loro tozzicelli di pane. Theodor Adorno, un pensatore che il nostro tempo lo aveva ben capito e spiegato, distingueva e trovava una pericolosa coincidenza in tre livelli nella società capitalista: fascismo, stalinismo e industria culturale! L’industria dell’omologazione, l’apparato di ripetizione di massa che quando si appropria di un nuovo termine o prodotto lo porta immediatamente sulla bocca di tutti, la produzione di bestseller, i diplomifici, la cultura ufficiale, i nastri e nastrini che addobbano le carriere dei plutocrati che controllano il nostro mondo servono fin troppo bene gli scopi dell’oscurità e della dimenticanza di sé insieme all’asservimento agli oggetti ed al potere. Questa trasformazione del mondo non si sarebbe potuta mai conseguire senza la fidata complicità dei ciambellani della presunta cultura ufficiale. Un antico insegnamento sapienziale ricorda che anche un uomo solo, seppur accusato e maltrattato da tutti, può ergersi contro un mondo intero ed è proprio questo il compito che, da secoli, si sobbarcano i filosofi autentici.

            L’uomo nuovo è un uomo tanto terribile quanto pericoloso e, diversamente da altre epoche, è ormai irraggiungibile dalla voce del sapere poiché, anche grazie alla tecnica (τέχνη) ed alle sue povere capacità di lettura e scrittura (a tal punto che stanno ora persino escogitando congegni per tornare a scrivere con le mani nude sullo schermo), crede di dominare tutto, anche il sapere. Da tempo i giornali hanno lasciato cadere la Terza pagina sostituendola con quella degli spettacoli e, quando ancora la mantengono sotto la generica dicitura di “Cultura e spettacoli”, quello che vi scrivono riguarda canzonette e commedie, qualche libercolo sponsorizzato o televisizzato o, per l’appunto, qualche bel festivalazzo di misosofia. La situazione non cambia nelle presunte istituzioni culturali o accademiche italiane e straniere: la nostra è ormai una povertà globale e complessiva.
            A questo punto direte: “ma come puoi scrivere queste cose? Noi c’eravamo a Modena, Carpi e Sassuolo! Li abbiamo visti assisi sui podi a battersi il petto con severa postura da pensatori, li abbiamo ascoltati pronunciare parole difficili con aria grave e li abbiamo sentiti sospirare sui mali dell’uomo e del mondo!” Ed a questo punto mi redarguirete malamente: “Sei proprio un arrogante a parlare in questo modo di questi illustrissimi cattedratici! Ma non hai visto che belle livree che avevano? E che bei tocchi? E com’erano rossi i loro nasi? Eppoi, guarda, ma non vedi come stanno ben assisi su delle belle sedie? Non basta forse già questo a farli filosofi?” Vorrei allora aggiungere che le vostre obiezioni sono tutte vere: costoro sanno bene come star seduti in bella postura e fare il grugno grave, sanno anche vestire bei pannicelli caldi, anzi queste parodie gli servono proprio a vestire quei pannicelli (http://materialivari.blogspot.com/2012/08/who-are-rich.html). Per riuscire davvero a vederli bisogna però guardarli in faccia e provare a leggere dentro quegli occhietti furbi e indifferenti. E se sono sembrati filosofi è perché di filosofi non ne fanno più sentire da tempo. Quelli che ormai fanno vedere sono quelli allineati e coperti, quelli che sanno sempre come comportarsi, sanno cosa è utile dire e cosa non dire e stanno dalla parte di chi sa sempre da che parte stare. E come sono bravi a far finta. Ah! Quanto son bravi in quell’arte antica! Il filosofo autentico è invece uno che non sta da nessuna parte se non dalla parte del buono, del vero e del bello e non sa neppure come considerarsi parte, per questo agli occhi di certi religiosi confessionali viene detto ateo, mentre agli occhi degli atei viene detto religioso, così come per i filosofi è un non filosofo e per i non filosofi un filosofo. Se questa gente che si arroga oggi il diritto di discettare di filosofia avesse anche una vaga idea di cosa sia un pensiero autentico, sarebbe magari capace di uscire dallo spirito parolaio e bottegaio con cui erge cattedrali di vuoto e ripensare certi concetti sempre attuali, trovandovi nuove strade, costruendo interrogativi sopra altri pensieri, senza ergersi come se vi fosse qualcosa di nobile nello stare assisi e non nel vedere. Le parole di chi pensa sono pesanti e contengono una forza che trascende chi le pronuncia, sono parole che scuotono e accompagnano chi ama comprendere, non una ninnananna rassicurante o un raccontino addomesticato per l’intrattenimento. Il pensiero è domanda ma è anche risposta, non una risposta conclusiva quanto un tenersi per mano, un raccogliere gemme e sorridere insieme. Per questi, invece, significa solo parlare da un podio e raccattare pepite. Poveri loro e poveri anche noi quando li ergiamo a maestri.