Saturday, September 21, 2013

In ricordo di T.S. Eliot


Come sono bravi questi bravacci e farabutti a celebrare i poeti quando sono morti. Sono bravi a strabuzzare gli occhi e fare gesti di commozione truci quando il poeta non è più tra loro e sono ormai sicuri che non può smentire i loro vuoti commenti. E quanto false sono tutte le loro parole! False come le loro vite di carta secca. Che se ne farebbero, del resto, loro che intendono solo le cose morte, di un poeta vivo? Anzi, quando parlano del poeta da morto gli fanno quell’ultima violenza che non potevano fargli da vivo: rubargli il senso delle sue parole per farlo diventare un altro pupazzo di sale nella loro macabra collezione di silenzi. Le parole del poeta rigurgitano di una vita che questi commedianti della cultura non potranno mai comprendere e per questo provano ad ingabbiare ed ammazzare anche le parole sopravvissute. Sono mostri, orchi dalla faccia infame e imbellettata, e non sanno che i loro rigurgiti sono a malapena voci mozze e senza destino. Fanno finta di celebrare la vita del poeta e invece ne celebrano lieti la morte e le loro espressioni sembrano di compianto solo per chi non sa come guardarli davvero. Del resto, cosa sanno del poeta? Cosa hanno mai saputo? Cosa potrebbero mai saperne? Loro che stanno sempre dalla parte del più forte per poter poi sgranocchiare ossa e briciole cadute dalla tavola. Loro che non hanno mai saputo come vivere davvero neppure un giorno delle loro vite. Loro che sono i primi ad accorrere quando c’è da prendere un pugnale per spaccare il cuore di chi non parla la loro lingua roca. Loro che hanno fatto del pianto il solo canto e della vergogna la sola requie. Loro che fanno del buio la loro luce e accettano di piegarsi solo all’infamia. Loro che sono sempre stati sugli spalti e i torrioni da cui gettavano pietre e sputi sul poeta accovacciato tra le ortiche nel fossato e adesso vogliono arrivare a pretendere che il poeta sia sempre stato tra i loro scranni e balconi, lasciando intendere che anche il poeta era, come loro, uno degli empi schernitori della vita. Questa è la fiaba che vogliono raccontare dai loro pulpiti, ma chi legge sa che non è per niente così, ed anche se loro non potranno mai coglierlo, il poeta, gli ha già risposto tra le righe della sua opera, nascondendo messaggi che loro saranno sempre incapaci di vedere e che sempre smentiranno le loro imbellettate parole. Il fatto che loro siano in tanti e quelli che sanno ancora leggere siano in pochi non significa nulla, non ha mai significato alcunché, perché loro sono sempre stati in tanti. Essere molti è la sola cosa che sanno fare davvero, ed a questo tende sempre il loro fiuto, ad annusare dove sta andando il branco. Il poeta invece va da solo. Rarissimi dunque i poeti che hanno destino di trovare chi riceva le loro parole. Il poeta, del resto, non scrive per esser accettato o per ricevere una pacca sulla spalla, scrive perché non può fare altrimenti, scrive perché la vita tracima nelle parole e le parole tracimano nella vita, scrive perché qualcuno gli ha spaccato il cuore o perché qualcuno gli ha sanato quella ferita. Scrive perché il suo essere è nella sua scrittura e la sua scrittura è nel suo essere.

Il poeta è uno o nessuno, ma non è mai molti. Loro sono invece molti o nessuno, ma mai uno. Per questo lavorano sempre e in ogni modo contro il poeta e non soltanto perché questi non gli assomiglia, ma perché è il loro assoluto contrario. Oggi, nell’epoca nuova in cui questa gente dalla faccia buffa e truce ha conquistato cime e vallate, spiagge lontane e terre vicine, torri e cantine, cattedre, troni e poltrone, vuole anche conquistare i territori della poesia infiltrandovisi e bivaccandovi con anime guaste e scarponi di piombo. Non sanno che quanto più vi si avvicinano, tanto più la poesia e il pensiero si ritraggono o, forse, lo sanno e non gl’importa, ed anche un rudere vuoto gli sembra abbastanza per incoronare i loro eroi di cartapesta: anche una lampada spenta è per loro luce. Perché, dunque, meravigliarsi che la nostra sia un’epoca al buio?

(Da: Sergio Caldarella, Il poeta e i molti, «Il Pungolo» 21 settembre 2013)

Sunday, September 8, 2013

La neo-intelligenza


Un pensiero non può mai davvero essere interamente “spiegato” quanto letto, discusso, interpretato e condiviso. Diversi secoli di volgarizzazione lasciano però credere altrimenti e così migliaia di pubblicazioni, conferenze e lezioni provano a “spiegare” pensieri e pensatori divulgando, in tal modo, non soltanto banalizzazioni, ma anche la pericolosissima opinione secondo cui sia possibile aver “capito” Eraclito, Platone, Kierkegaard, Einstein, Bohr o la Bibbia solo perché si è letto un manuale in proposito. Per questo non c’è cosa più diffusa e comune nel mondo d’oggi quanto la “credenza di sapere”. Preda di un’intelligenza che ci fa credere tutti bravi, crediamo di sapere tutto di tutto senza sapere come e da qui deriva la rapidità, la banalità e la superficialità dei giudizi e delle pseudonalisi dei contemporanei. Ed anche questo è qualcosa che pertiene profondissimamente all’esprit du temps in cui siamo stati capaci d’inventare un’intelligenza stupida che, parcellizzando il mondo, non è più in grado di vederlo e sentirlo davvero. Il pensiero è anche il comune sforzo umano verso la conoscenza compiuto da tutti gli uomini, come già insegnava Socrate nel Menone, mentre l’intelligenza stupida crede sempre di poter bastare a se stessa e da qui la fine del dialogo culturale: «'Tis the times' plague, when madmen lead the blind, È il malanno dei tempi che i matti debbano guidare i ciechi» (King Lear, atto 4 scena prima).

L’intelligenza stupida è anche narcisista, ossessionata da conclusioni e applicazioni, dal corpo e dalla materia, dalle cose e dalle loro successioni e permutazioni. Un’intelligenza zoppa e fatalmente muta di fronte alla vita. Un’intelligenza che è arrivata al punto da uccidere la poesia, la filosofia, la teologia, relegare la letteratura o l’arte in mediocri angolini della società e portare le scienze a modello di una nuova divinità materiale. Anche a dispetto dei secoli, siamo ancora adoratori del grasso vitello d’oro.

(Sergio Caldarella, La neo-intelligenza, in Giornale del Nuovo Millennio, 7 sett. 2013).