Tuesday, December 22, 2015

Sulla Lezione “magistrale” di Zygmunt Bauman - How good people make bad society.



Il fatto che Zygmunt Bauman, come si evince dal video della “lezione” al Teatro Franco Parenti di Milano (5 febbraio 2015), rimanga talmente affascinato dall’opera teatrale contemporanea Good people di David Lindsay-Abaire, un racconto senza racconto che egli cita e dall’ambivalenza etica del personaggio (Stevie) che detiene, in questo testo teatrale, un micropotere che lo forza ad agire in maniera contraria alle sue convinzioni etiche, dimostra solo la morbosa attrazione che individui come Bauman provano per l’ambiguità etica così centrale nelle loro vite e carriere. L’atteggiamento che Bauman descrive nel comportamento di quel supervisore (Stevie) nella piece teatrale di una banalità stravolgente è eticamente aberrante e non può contenere alcuna giustificazione né alcuna morale se non quella della mera aberrazione alla quale il potere pretende sempre, invece, di conferire una legittimazione che non possiede. La questione sul presunto carattere di Stevie non è per nulla se egli sia “buono” o “cattivo”, come la vuol proporre Bauman o come si faceva una volta nelle scuole elementari con i buoni da un lato ed i cattivi sull’altro lato della lavagna, ma è ancora il tema della responsabilità e dell’agire individuale di fronte alla società.
Questo tema della presunta ed assoluta necessità sociale di obbedire a dei dettami viene proposto da lungo tempo, ma nella modernità ha assunto un carattere grottesco, soprattutto quando si considera l’uso che ne fecero i gerarchi nazisti al processo di Norimberga e, successivamente, Adolf Eichmann durante il processo di Gerusalemme dichiarando di “aver eseguito solo degli ordini” (Ich habe nur Befehle ausgeführt). Agire in conformità ad un ordine mostruoso o aberrante significa soltanto agire in maniera mostruosa o aberrante ed il fatto che l’orrore possa venir proposto, o introdotto, nella forma di un ordine gerarchico non ne mitiga né riduce in alcun modo la responsabilità degli esecutori. Chiunque agisca secondo principi che considera in sé discutibili o apertamente immorali sta agendo immoralmente e basta! Il concetto del dirigente che dice, come nell’esempio carezzato da Baumann, “sai, mi dispiace, ma devo eseguire degli ordini o agire in conformità ad un modello altrimenti perderei anch’io il posto di lavoro e, per questo, devo licenziarti” è la mera riproposizione della vecchia argomentazione secondo cui l’autorità solleva dalla responsabilità e dal giudizio etico. L’autorità di coloro che non percepiscono più un’eventuale dissonanza tra etica e comando (diversa da etica e comandamento) si trasforma in un mero potere di esecuzione di direttive impartite da coloro che hanno il controllo reale e gli esecutori di questi dettami si contentano, o si rallegrano, di esser ombre parassitarie del potere e, per questa magra parvenza, vendono e svendono anche l’anima. Come ben direbbe Victor Hugo: «C’è gente che pagherebbe per vendersi». In realtà Bauman– e tutti quelli (troppi) che traggono stipendiato vantaggio dalla terribile situazione concettuale della modernità –, con il suo discorsetto ambiguo che ripete antichi copioni, sta semplicemente giustificando se stesso e tutti coloro i quali mettono bellamente in pace la loro coscienza, o quei brandelli rimasti, ripetendo a se stessi e dicendo agli altri che hanno solo eseguito gli ordini di chi regge il bastone – e questa è, forse, proprio la ragione principale per la quale il discorsetto “carino” di Bauman piace ai molti.
Come sarebbe bello poter chiedere a questi signori come Bauman: “ma voi che parlate in maniera così aulica ed altisonante cosa fate, poi, oltre a queste belle parole che siete tanto bravi a propagare?” Sans erreur de ma part, il signor Bauman è uno dei tanti che sono stati per tutta la vita parte piena ed integrante dell’establishment accademico e sociale della nostra epoca, oppure erro? Già da giovanissimo, uno dei suoi primi incarichi durante la guerra, mentre era membro della Prima Armata Polacca organizzata dai sovietici, era anche quello di “istruttore di educazione politica” che, all’epoca, era un altro nome per i propagandisti di regime o commissari politici. Il fatto che, a suo tempo, sia stato oggetto di campagne denigratorie e diffamatorie da parte dei suoi vecchi padroni/compagni sembra gli abbia conferito, in occidente, un’aureola di santità culturale che egli certo non possiede in quanto è semplicemente passato dal padrone in toga rossa a quello con il doppio petto in grigio; Bauman non è certo un Aleksandr Solženitsyn come si vorrebbe far credere e tutto il suo curriculum lo dimostra – o la comparazione tra i due curricula. Questo signore è stato, per tutta la vita, un accademico stipendiato, ossia un becchino della cultura, proprio in quelle sedi che rappresentano i luoghi cardine e paradigmatici della degradazione etico-culturale della nostra epoca e adesso se ne viene a fare dei bei discorsetti sulla situazione di quella stessa società di cui è complice e corresponsabile? La corresponsabilità di Bauman è anche data dall’aver provveduto a formare (fornire certificati) ai rampolli di quella borghesia che sostiene e impone questo modello di mondo autoritario basato sul comando e il bastone o, come direbbero altri, sulla carota e il bastone. Come diceva un vero grande intellettuale di un tempo: «no es raro encontrarse con ladrones que predican contra el robo, non è raro incontrare dei ladri che predicano contro il furto» (Miguel de Unamuno). Inoltre, se questi blateratori di belle parole fossero davvero molesti ai controllori del mondo, quelli che reggono saldamente il bastone, potete stare ben tranquilli che non verrebbero pubblicati con gran fanfara né verrebbero chiamati ad interloquire in vasti forum, né riceverebbero premi e premietti un po’ ovunque. Rimane da porsi una domanda chiave: ma perché tutta questa sofistica ammansente? Cui prodest?