Wednesday, January 1, 2014

L’infatuazione per il lusso come segno della distanza.


Il lusso è ingiustizia sociale congelata, ma anche una tra le tante misure della distanza tra noi e il senso quale contenuto significante dell’esistere e dell’esistente. Il lusso è il compimento di un distacco non soltanto tra uomo ed uomo, ma anche tra uomo e mondo: una gabbia luccicante costruita su divisioni, ingiustizie, appropriazioni, espropriazioni e la solita hybris di un essere caduco e mortale che vuol invece credersi invincibile ed immortale. Il superfluo, l’abbondare di cose e merci di ogni genere si configura, dunque, come il sintomo di un gravissimo malessere: il vivere la morte già dentro la vita.

Il lusso è, necessariamente, separazione, distacco puramente materiale che coincide sia con l’indifferenza per gli altri, sia con l’indifferenza verso il pensiero autentico, dando misura del distanziarsi dell’uomo dalle verità e dalle ragioni che pungolano e inquietano la vita. Il lusso è materia levigata a specchio in cui si riflette un volto svuotato e nullificato da una concezione del mondo e della vita senza spiraglio alcuno, un soffocante riflesso che avvelena lo sguardo dell’uomo in uno sfavillio di oscuri fuochi fatui. Nella materia non c’è alcuna luce e, per questo, colui che vi fissa troppo a lungo lo sguardo si perde nella curiosa oscurità del suo vuoto. Chi abbraccia il freddo delle cose finisce per ignorare il calore delle parole e delle idee autentiche e vere. Chi afferra soltanto ciò che è materia taglia, già in sé, tutto ciò che alla materia non pertiene né appartiene. Sorge da qui un’intera scienza delle cose seconde, del pensiero che diventa moto neurologico, della vita che diventa a malapena aggregato cellulare e di ogni altro intangibile squassato sotto il tallone di pesi e misure materiali. L’uomo che si spegne trascina i suoi pesanti scarponi in lande remote, ma non sa più riconoscere null’altro che non sia solo peso. È un uomo che scaraventa tutto, essente ed esistente, sulla bilancia della materia. Naturale, allora, che un uomo siffatto, ridotto ad uno spettro accecato dal dolore di esistere, cerchi rifugio nella distanza che il lusso ed ogni altro artificio della materia sanno proporgli, finendo per costruire torri sfavillanti quale prova tangibile dell’irriconoscibile distanza che egli ha posto tra sé e la vita autentica.

(Sergio Caldarella, L’infatuazione per il lusso come segno della distanza in «La Voce della Voce. Trimestrale di Cultura e Notizie», Bormio, genn. 2014)