Thursday, May 31, 2012

Inequality and Instability


Il 7 maggio 2012 al Massachusetts Institute of Technology è stato presentato il libro di James Galbraith (figlio di J. K. Galbraith) dal titolo Inequality and Instability: A Study of the World Economy Just Before the Great Crisis di cui, sicuramente, si avrà a breve notizia anche in Italia visto che gli editori italiani sono in genere ghiotti di novità dall'inglese, ma si interessano poco o nulla al pensiero in lingua italiana, a meno che non sia roba proveniente dalla televisione o da qualche luogo di aggregazione collettiva. Anche in questo siamo, del resto, periferia dell'impero.
James Galbraith è un figlio d'arte, ossia un economista figlio d'economista che insegna all'università di Austin - non è del resto solo il Bel Paese a produrre questi fenomeni di discendenze professionali.
Alla presentazione del libro di Galbraith a Cambridge c'erano non più di una trentina di persone tra cui qualche postdottorando, un paio di docenti, alcuni venuti da fuori e forse uno o due studenti. Stupisce che gli studenti siano proprio i grandi assenti da quasi ogni manifestazione culturale, forse è il modo in cui sono stati cresciuti o forse intuiscono che a questi eventi c'è molto fumo e poco arrosto.
Sia come sia, la tesi nel libro di Galbraith junior, che è poi un libro che, a quanto ammette lui stesso nei ringraziamenti, è un'opera alla quale hanno contribuito in molti, è un insieme raffazzonato di molti argomenti il cui filo conduttore sembra essere quello secondo cui la disuguaglianza degli ultimi tre decenni, prodotta principalmente dalla finanza, ha condotto alla crisi attuale. Una tesi nella sostanza nota. Nel corso del dibattito seguito alla conferenza il professor Galbraith junior si è tralaltro dichiarato convinto che non vedremo presto un altro conflitto a causa delle controversie che vi sono state a proposito della guerra in Iraq! Il pargolo di J. K. Galbraith pare non abbia neppure capito la natura politica dei conflitti e crede davvero che esista davvero qualcosa come l'opinione pubblica! Thomas Jefferson osservava che una persona la quale non legga alcunché è più colta di una che legga solamente i giornali. Chissà cosa avrebbe detto Jefferson se avesse potuto contemplare lo scempio culturale che è il mondo contemporaneo.
Oggi sembra quasi che, per passare da competenti, basti imbastire un discorsetto basato su ciò che tutti approvano e condividono per poi cambiarne un paio di virgole e gridare entusiasti "Eureka!". Nell'epoca dei persuasori occulti l'entusiasmo conta ben più della verità. Viene anche in mente quel tipo che, negli Stati Uniti, è diventato un eroe intellettuale per aver proposto la sottrazione di Plutone dal novero dei pianeti (pare che Plutone sia ora un pianeta nano) ed è persino apparso in una puntata della serie televisiva The Big Bang Theory, oltre ad un largo numero di altri programmi. Chissà perché non acclamano allora qualcuno che voglia eliminare il Plutonio come elemento, adducendo la ragione che si tratta di Uranio arricchito (si arriva infatti a 239Pu attraverso 238U → 239U→ 239Np→239Pu)? Tra l'altro la paternità della proposta di ridurre lo status di Plutone andrebbe magari all'astronomo inglese Ian Ridpath che pose la questione in un saggio del 1978. Ma la scienza contemporanea è ridotta a queste cose, dai neutrini più veloci della luce (come Superman e Buzz Lightyear in Toy Story: "To Infinity and Beyond!") a particelle magiche capaci di spiegare ogni cosa, fino alla retrocessione nominalista dei pianeti. Cinquecento anni fa questi stessi signori avrebbero sicuramente parlato e difeso il geocentrismo, mille anni fa la terra piatta e tutti si sarebbero trovati d'accordo con loro e avrebbero magari messo al rogo colui che raccontava altrimenti. Sono cambiati i tempi ed i modi, ma non la sostanza del conformismo intellettuale. La grande differenza è che in passato il conformismo intellettuale si basava sulle credenze diffuse e, in ultima analisi, sul potere costituito, mentre oggi possiede un immenso apparato accademico in grado di propagare qualunque teoria che non dissenta dall'opinione generale e generalizzata. Il potere costituito continua però a restare inquietantemente sullo sfondo.
Inequality and Instability è un libro malfatto come lo sono molti libri d'oggi, pieno di generalizzazioni non sostanziate, approssimazioni e categorizzazioni manualistiche. Galbraith, o chi per lui, scrive di un'altisonante "Simple physics of inequality measurements" (cap. I) e considera la diseguaglianza come una questione di diseguaglianza salariale – approccio del resto estremamente contemporaneo.
La realtà è che se davvero si vogliono comprendere le ragioni della disuguaglianza bisogna partire da due elementi: l'uomo e il sistema sociale che egli ha generato e in cui vive oggi sempre più quale involontario prigioniero di se stesso.

E' un panorama profondamente deprimente quello offerto dall'accademia contemporanea e dallo scempio profondo che sta compiendo sul sapere. Gli intellettuali come Galbraith junior, Bordieux, Chomsky, Žižek etc. piacciono perché sembrano radicali senza esserlo, perché raccontano una storiella che fa sentire progressisti i piccolo borghesi e, dunque, in pace con la loro coscienza da salotto buono. Quando qualcuno chiede di guardare al tramonto il compito dell'intellettuale autentico dovrebbe essere quello di guardare verso le terre dell'alba, ma quello di contrastare il proprio tempo è da sempre un mestiere pericoloso e ingrato che si sobbarcano in pochi. Il ruolo degli intellettuali organici (questo concetto gramsciano ha una lunga storia poiché già Sofisti erano degli intellettuali organici par excellence) è anche quello di intrattenere con falsi problemi dai quali derivano false soluzioni che consentono ai burattinai di continuare a tirare le fila della farsa. Il verme è nel formaggio anche perché quello di cui si parla è un formaggio da vermi.
Quello che sfugge completamente a Galbraith ed a molti critici presunti è che la diseguaglianza in un sistema capitalista non è un accidente della storia, ma un ben preciso criterio di fondazione. L'idea di base della società capitalista sta proprio ben radicata nell'idea che gli uomini siano diseguali ed Huxley lo ha colto egregiamente nella famosa frase della Fattoria degli Animali in cui i maiali (guardacaso) dichiarano: "All animals are equal, but some animals are more equal than others, Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali di altri". Se si volesse "spiegare" l'essenza umana del capitalismo basterebbe questa sola frase. Altrimenti come si spiega che la nostra società sia basata sul fatto che una persona deve avere tanta ricchezza quanta ne basterebbe alla sopravvivenza di diversi milioni di persone? Non è quella sola persona considerata, anche istituzionalmente, più uguale di milioni di altre? Poi, quella sola persona, o quel gruppo di pochi più uguali di altri, costringono o convincono i molti a partecipare al gioco che garantisce loro privilegi sulla base della diseguaglianza grazie a piccole prebende o coercizioni. E' chiaro che un'analisi più complessa è possibile e fiumi d'inchiostro e di sangue sono stati versati sull'argomento, ma l'elemento alla base del sistema sociale contemporaneo è quello secondo cui ci sono animali che si credono più uguali di altri e, per mantenere i loro meschini privilegi, sono disposti davvero a tutto, ma proprio tutto.
Fino all'epoca contemporanea a questa gente si opponevano i profeti, i filosofi, i pensatori, gli intellettuali, ma ora sono riusciti a tappare la bocca anche a questi e così altro non ci rimane se non guardare attoniti le presentazioni/prestazioni dei vari Galbraith junior che da una parte ti dicono di stare con quello che viene detto il 99% pur non essendolo, ma dall'altra stanno con la mano tesa verso quell'1% che gli dice: "Bravi! Ancora una volta siete stati capaci di innalzare una cortina di fumo per abbagliare e confondere quelli che avrebbero potuto vedere".

(© Sergio Caldarella)


Sunday, May 20, 2012

Appena un appunto sul tempo e le cose


Michel Foucault darà il titolo di Les Mots et les Choses. Le parole e le cose, ad uno dei testi chiave della sua riflessione sottotitolandolo con: Une archéologie des sciences humaines. Ma che ne è invece del tempo e le cose? Cosa succede alle cose nel tempo e, inoltre, cosa succede al tempo quando si smarrisce tra le cose? L’ipseità del mondo viene rafforzata dal tempo o ne viene rettifficata, plasmata, soggiogata? Con una certa approssimazione terminologica, la scienza moderna dichiara che il tempo non esiste, anche se l’esistenza è già una funzione del tempo e bisognerebbe magari invocare qualche altra categoria. Nella teoria della relatività, il tempo diviene un’ulteriore coordinata, creando non pochi problemi e paradossi. Kurt Gödel, poi, deriverà dalle equazioni della Relatività Generale persino un universo con linee di tempo chiuse. Per i Greci molti erano invece i volti del tempo: era Chronos (Χρόνος) e Aion (αἰών), materiale e divino allo stesso tempo, cosmico e particolare, presente e assoluto, infinito e finito. In quanto divinità il tempo dei Greci sapeva soggiogare il finito. Ma il tempo non si annulla nelle cose, sono queste che invece si sciolgono nel tempo, come gli orologi liquefatti di Dalì, soggiogati dalla misura dell’eterno. La stessa cosa diranno, in modi tra loro diversi, anche autori come Kafka e Borges.

Cosa succede allora all’uomo quando decide di sottrarsi all’eternità e nuotare solo nelle paludi del tempo? Tra quelle paludi l’essere umano e il suo sentire sembrano allora una piccola cosa e per coloro incapaci di vedere oltre l’infinitesima misura delle cose, tutto si riduce e riconduce alla fosca ombra delle lancette. Chi, invece, sa come aprire gli occhi davanti al vero scopre che l’eternità è già contenuta nel presente di un istante, che si può vivere il tutto nel nulla e viceversa, che si può guardare un fiore e pensare ad un tramonto, coprire una rosa e vederla più vera, cogliere il battito d’ali di una farfalla e trovarvi i segreti dell’amore o dell’infinito. Se il tempo degli antichi soggiogava le cose era però incapace di soggiogare la volontà vera dell’uomo. Il cuore umano per le mitologie e le fiabe è sempre stato più forte di qualunque fiamma e più duro di ogni lancia con la quale lo si voleva trafiggere. Daniele entra nella fossa dei leoni con cuore sereno perché egli sa, conosce una verità interiore che gli altri, quelli che dei leoni hanno paura, non conoscono. Peccato che nessuno potrà mai spiegare nulla della verità vera a coloro che preferiscono abitare nelle tenebre chiamandole luce: Loco è là giú non tristo da martiri, ma di tenebre solo, ove i lamenti non suonan come guai, ma son sospiri (Purgatorio, VII). Osservando i fatti del mondo è particolarmente sorprendente scoprire la gran quantità di errori con i quali l’uomo contemporaneo si trastulla e distrugge la sua vita ed il suo ambiente. Scrutando la società contemporanea che, a dispetto dei tanti menestrelli che ne cantano sedicenti lodi, non è ancora una società autentica ma appena una grande tribù, ci accorgiamo di innumerevoli ingiustizie e cose sbagliate che, però, passano per scontate e impossibili da cambiare. Viene detto: sono così e basta! E non soltanto le aberrazioni criminali, ma l’ambito ben più pericoloso di quello che viene considerato “normale”. Il terreno del “normale” su cui la borghesia ha costruito questo nuovo mondo. È sbagliato il modo di vivere dei molti che vede il mondo come il terreno della competizione e non della cooperazione. È sbagliato il nostro modo di muoverci perché inquina l’aria che respiriamo, è sbagliato il nostro modo di impacchettare cibi perché produce un’immensità di rifiuti inutili, è sbagliato il nostro modo di utilizzare e consumare le acque perché inquina una risorsa primaria e chiunque sia davvero capace di pensare autonomamente sa che quest’elenco potrebbe continuare a lungo. Dai più remoti angoli dell’Asia passando per l’Africa, l’Europa o le Americhe ovunque ci sono scatoloni di metallo, plastica e gomma che producono incessantemente rumori e inquinamento per spostare uomini e merci. E tutto questo lo chiamiamo economia, sviluppo, progresso e tante altre banalità ideologiche. Per questo devono poi cambiare il nome a tutto, un po’ come nell’avvertimento di Tacito: Ubi solitudinem faciunt pacem appellant, Dove creano un deserto lo chiamano pace.
(© Sergio Caldarella)

Thursday, May 17, 2012

Sonorità e pensiero


Per quanto sonoro possa esser un pensiero, non potrà mai produrre alcuna eco in un’epoca disperatamente sorda.

 (Dr. Divago)