Michel Foucault darà il titolo di Les Mots et les Choses. Le parole e le cose, ad uno dei testi chiave della sua
riflessione sottotitolandolo con: Une
archéologie des sciences humaines. Ma che ne è invece del tempo e le cose? Cosa succede alle cose nel tempo e, inoltre, cosa succede
al tempo quando si smarrisce tra le cose?
L’ipseità del mondo viene rafforzata dal tempo o ne viene rettifficata,
plasmata, soggiogata? Con una certa approssimazione terminologica, la scienza
moderna dichiara che il tempo non esiste,
anche se l’esistenza è già una funzione del tempo e bisognerebbe magari
invocare qualche altra categoria. Nella teoria della relatività, il tempo diviene
un’ulteriore coordinata, creando non pochi problemi e paradossi. Kurt Gödel,
poi, deriverà dalle equazioni della Relatività Generale persino un universo con
linee di tempo chiuse. Per i Greci molti erano invece i volti del tempo: era Chronos (Χρόνος) e Aion (αἰών), materiale e divino allo stesso tempo, cosmico e
particolare, presente e assoluto, infinito e finito. In quanto divinità il
tempo dei Greci sapeva soggiogare il finito. Ma il tempo non si annulla nelle cose, sono queste che invece si sciolgono
nel tempo, come gli orologi liquefatti di Dalì, soggiogati dalla misura
dell’eterno. La stessa cosa diranno, in modi tra loro diversi, anche autori
come Kafka e Borges.
Cosa succede
allora all’uomo quando decide di sottrarsi all’eternità e nuotare solo nelle
paludi del tempo? Tra quelle paludi l’essere umano e il suo sentire sembrano
allora una piccola cosa e per coloro incapaci di vedere oltre l’infinitesima misura
delle cose, tutto si riduce e riconduce
alla fosca ombra delle lancette. Chi, invece, sa come aprire gli occhi davanti
al vero scopre che l’eternità è già contenuta nel presente di un istante, che
si può vivere il tutto nel nulla e viceversa, che si può guardare un fiore e
pensare ad un tramonto, coprire una rosa e vederla più vera, cogliere il
battito d’ali di una farfalla e trovarvi i segreti dell’amore o dell’infinito.
Se il tempo degli antichi soggiogava le cose
era però incapace di soggiogare la volontà vera dell’uomo. Il cuore umano per
le mitologie e le fiabe è sempre stato più forte di qualunque fiamma e più duro
di ogni lancia con la quale lo si voleva trafiggere. Daniele entra nella fossa dei
leoni con cuore sereno perché egli sa, conosce una verità interiore che gli altri,
quelli che dei leoni hanno paura, non conoscono. Peccato che nessuno potrà mai
spiegare nulla della verità vera a coloro che preferiscono abitare nelle
tenebre chiamandole luce: Loco è là giú
non tristo da martiri, ma di tenebre solo, ove i lamenti non suonan come guai,
ma son sospiri (Purgatorio, VII).
Osservando i fatti del mondo è particolarmente sorprendente scoprire la gran
quantità di errori con i quali l’uomo contemporaneo si trastulla e distrugge la
sua vita ed il suo ambiente. Scrutando la società contemporanea che, a dispetto
dei tanti menestrelli che ne cantano sedicenti lodi, non è ancora una società
autentica ma appena una grande tribù, ci accorgiamo di innumerevoli ingiustizie
e cose sbagliate che, però, passano per scontate e impossibili da cambiare.
Viene detto: sono così e basta! E non soltanto le aberrazioni criminali, ma
l’ambito ben più pericoloso di quello che viene considerato “normale”. Il
terreno del “normale” su cui la borghesia ha costruito questo nuovo mondo. È
sbagliato il modo di vivere dei molti che vede il mondo come il terreno della
competizione e non della cooperazione. È sbagliato il nostro modo di muoverci
perché inquina l’aria che respiriamo, è sbagliato il nostro modo di
impacchettare cibi perché produce un’immensità di rifiuti inutili, è sbagliato
il nostro modo di utilizzare e consumare le acque perché inquina una risorsa
primaria e chiunque sia davvero capace di pensare autonomamente sa che
quest’elenco potrebbe continuare a lungo. Dai più remoti angoli dell’Asia
passando per l’Africa, l’Europa o le Americhe ovunque ci sono scatoloni di
metallo, plastica e gomma che producono incessantemente rumori e inquinamento
per spostare uomini e merci. E tutto questo lo chiamiamo economia, sviluppo,
progresso e tante altre banalità ideologiche. Per questo devono poi cambiare il
nome a tutto, un po’ come nell’avvertimento di Tacito: Ubi solitudinem faciunt pacem appellant, Dove creano un deserto lo
chiamano pace.
(©
Sergio Caldarella)