Sunday, July 17, 2011

Così è se vi pare


Dilettevoli le recenti dimissioni annunciate, in questi ultimi giorni, da Rebekah Brooks, già direttrice del tabloid “News of the world” e relative ad uno scandalo di intercettazioni. Pare che, nelle ultime ore, la signora sia anche stata arrestata e questo, invece, non diletta per nulla. Dico “dilettevoli” perché queste dimissioni hanno il solito sapore dei giochi e delle cose finte con le quali questo mondo nuovo ama trastullarsi. Se c’è una cosa che davvero non convince in questa nostra società del contrario sono proprio le sue finzioni, il voler anzi mostrare ad ogni costo qualunque finzione come realtà, lanciando finti problemi per convincere, in genere, quelli che sono già convinti.

Rebekah Brooks è forse l’ennesimo caprum emissarium di questa società fatta di quinte teatrali, specchi e parate. Quando si scopre il velo di uno degli innumerevoli orrori, falsità e atti di empietà che stanno alla base di un sistema del profitto e dell’annichilazione dell’umano, allora si grida allo scandalo perché, a dispetto di quello che sta nelle cantine, la facciata bisogna pur sempre tenerla pulita. Questo è però uno di quei tanti casi in cui il paradosso è fin troppo evidente. Sarà anche che questa Rebekah Brooks è quello di cui si dice – come avrebbe altrimenti potuto raggiungere gli alti vertici in un sistema sociale come il nostro se non fosse stata al livello della società di cui è parte? – ma questo “News of the world”, un tabloid di pettegolezzi e copertine scandalistiche, chi lo leggeva? Era forse la Brooks che ne comprava tutte le centinaia di migliaia di copie vendute? Certamente no. Se Rebekah Brooks è colpevole di essere ciò che è, non lo sono anche le centinaia di migliaia di lettori che provvedevano a decretarne il successo con il loro contributo individuale? Oppure quelli si salvano solo perché sono in tanti? Si racconta che Pilato era colpevole, ma quelli che hanno gridato "Barabba" a squarciagola, erano anch’essi senza colpa? Non è che la gente non sappia, finge soltanto di non sapere.
L’individuo omologato respira i codici non scritti della società in cui vive e per questo se nasce a Teheran sarà un fervente musulmano, a Roma un appassionato cattolico, a Manchester un fervente anglicano ed a Mosca un barbuto ortodosso. L’omologato, quello che sa sempre da che parte stare solo perché è la parte dove stanno tutti, è anche quello convinto di non avere colpe quando si tratta di una colpa o di un vizio condivisi dalla collettività. Quello che all’omologato interessa è assomigliare agli altri, perché così può convincersi di poter vivere senza colpa: una mattina grida “Duce, Duce” in piazza Venezia e, pochi anni dopo, se ne sta a contemplare lo stesso Duce appeso a testa in giù a Piazzale Loreto e in ogni circostanza si crede sempre senza colpa perché fa “quello che fanno tutti”. In ogni ambito, in ogni tempo, sotto ogni cielo, quello che all’uomo omologato importa è indossare l’abito che indossano tutti: “fare come gli altri”, ossia vivere a prestito. Impiccare un poveraccio su un patibolo al centro di una piazza è cosa deprecabile nella Roma di oggi, ma poco più di un secolo fa era ancora uno spettacolino cui portare i figli perché era proprio così che facevano tutti. Oppure poco più di un settantennio fa, in Germania, i pogrom di regime cui i soliti volenterosi partecipavano o facevano da spettatori diventavano effrazioni solo quando scannando la gente per strada si faceva troppo rumore. Anche in questo caso era quello che facevano tutti. Quello che davvero spaventa nella storia è che gli omologati non si tirano mai indietro davanti a nulla. Additare oggi l’ex direttrice di “News of the world” significa, per gli omologati, solo liberarsi della colpa scaricandola su una di loro: è lei la responsabile di tutto, loro si limitavano a leggere quello che questa tizia faceva scrivere. Peccato per Rebekah Brooks, aggressiva, rampante, sicura e in carriera, che è però finita tra le maglie dell’ingranaggio che tanto amava: lei, in sostanza, aveva solo fatto quello che fanno tutti.
(Sergio Caldarella)