Tuesday, March 3, 2015

Il “Problema” di Israele.

Poiché professo quell’antica massima ebraica secondo cui “se puoi leggere un solo giornale, leggi quello dell’avversario”, cerco sempre di ritagliarmi uno spazio per calare lo sguardo in queste peripezie e arzigogoli con i quali, da ogni dove, si inveisce a più non posso contro lo Stato di Israele. Recentemente, proprio in una tra queste mirabolanti peripezie sofistiche, provavo a leggere l’articolo di un certo Michael Welton, dell’Athabasca University (in Alberta, Canada!) che, nonostante professi, nelle belle intenzioni, una “deep passion for social justice in our world. Una profonda passione per la giustizia sociale nel nostro mondo”, si impegna poi a scrivere articoletti grondanti pregiudizi e il solito antisemitismo travestito da buone intenzioni (https://thewallwillfall.wordpress.com/2015/02/16/the-problem-of-israel-in-the-modern-world-by-michael-welton/). Questo articoletto di Welton viene subito pubblicizzato e immediatamente tradotto in tedesco ed in altre lingue dai suoi vari compari d’oltreoceano!
Il titolo di questo sfogo di Mr. Welton “The Problem of Israel in the Modern World” è stato anche tradotto da una nota antisemita tedesca (Dr. Gabi Weber di Friburgo) con “Israel als Problem in der modernen Welt” che, nella forzata traduzione della Weber, assume una connotazione pesante tipo “Israele come problema del mondo” e non la più corretta versione di “Il problema di Israele nel mondo contemporaneo” (se avesse voluto tradurre correttamente avrebbe dovuto scrivere: “Das Problem von Israel in der modernen Welt”). Queste sembrano, magari, sfumature ma non lo sono perché mostrano quei minuscoli dettagli della manipolazione attraverso cui avviene il continuo slittamento di senso con cui si aggredisce, incessantemente, lo Stato di Israele in primo luogo e, immediatamente dopo, l’ebreo. È evidente che la Weber non può essersi sbagliata in una traduzione così elementare che anche uno studente di scuola media inferiore avrebbe saputo tradurre correttamente, il problema è che questa signora non traduce con la mente, ma con il solito antico odio – ed è una cosa che è stata vista e rivista troppe volte nel corso dei secoli. La Weber è anche coinvolta in molteplici attività dichiaratamente antisemite come quando, nel 2013, il Cafe Palestine di Friburgo da lei diretto ospitò, con il solito strepito, un relatore negazionista – non è infatti casuale l’associazione tra Cafe Palestine e la presentazione di eventi in cui emerge anche la componente revisionista, non dimentichiamo che i Protocolli hanno libera vendita, senza alcun apparato critico, in tutto il mondo arabo. La vicenda che segue è nota: Heinrich Schwendemann, storico dell’università di Friburgo (per intenderci, l’università in cui Heidegger era stato rettore da nazista) e fondatore di un centro sulla memoria della Shoah era stato invitato a partecipare alla tavola rotonda nel Cafe Palestine insieme a Norton Mezvinsky, uno storico americano ed al sassofonista jazz, nonché autore negazionista, Gilad Atzmon. Quando Schwendemann, da serio studioso, si rese conto di chi fosse quest’ultimo relatore ha ovviamente ritirato la sua partecipazione alla manifestazione ed ha chiesto all’università di intervenire affinché questa non venisse autorizzata in un locale di pertinenza dell’ateneo. Vi lascio immaginare l’infame campagna diffamatoria che si è immediatamente scatenata contro il povero Schwendemann. Il Cafe Palestine ha fatto ricorso legale ed il Tribunale di Friburgo ha consentito che la manifestazione si tenesse con buona pace di tutti i poveri perseguitati che hanno trionfalmente portato argomenti negazionisti e antisemiti nel cuore di una delle più famose università della Germania riecheggiando, in nome di una presunta libertà di parola, anche un terrificante ed oscuro passato in cui la libertà di parola era negata – dico presunta perché, se proprio ci tenevano ad esercitare la libertà di parola, potevano semplicemente effettuare la manifestazione altrove e, invece, qui il tema non era la libertà di parola, quanto l’arroganza di sapere di poter portare ogni spregio in ogni luogo. Tutto questo, come dicevamo, è reso possibile solo dal crollo dell’argomentazione razionale sulla quale prevale l’emozione motivata da una propaganda che è certamente meno rozza e molto più sottile di quella del Völkischer Beobachter, ma ha ben poco da invidiarvi per quanto riguarda i contenuti reali. Per capirlo basta guardare un’immagine del sito web con l’articolo di Welton qui accluso (https://thewallwillfall.wordpress.com/2015/02/16/the-problem-of-israel-in-the-modern-world-by-michael-welton/) in cui si vede la foto di una bambina su una spiaggia e la scritta sotto riporta: “I am a threat to Israel, Io sono una minaccia per Israele”. Un tipo di propaganda spudorata quanto immediata e capace di agire direttamente sull’emozione! Joseph Goebbels, il ministro della propaganda nazista il quale dichiarava “noi non parliamo per dire qualcosa, ma per ottenere un risultato”, non sarebbe stato capace di fare di meglio!
Quanto impegno e quanta forza mettono questi propagandisti vecchi e nuovi nello spargere una vulgata raffazzonata di immagini ad hoc e pseudoargomenti il cui unico scopo è sempre, e costantemente, quello di dipingere Israele in una luce fosca. Nel Mein Kampf e altrove Hitler diede, del resto, una definizione spaventosamente semplice dell’arte della propaganda (“Kunst der Propaganda”): “La propaganda è la continua ripetizione di concetti semplici”. Un’assordante ripetizione di concetti semplici e stravolti che si manifesta, sempre più, in questo castello di pseudoargomentazioni che costellano i vicoli bui dell’Europa. L’antisemitismo politico è, del resto, la piaga sfigurante del Novecento.
Questi sono appena piccoli esempi indice di una marea montante di un delirio che non pare arrestabile (o, quantomeno, lo sarebbe se la cultura fosse ancora possibile), innanzitutto perché, nel contesto della modernità, l’argomentazione razionale ha ormai un valore marginale ed inefficace. In secondo luogo perché al propagandista non interessano i discorsi, ma solo il furore del suo delirio con cui vuol travolgere il mondo intero – non si spiegherebbe, altrimenti, come certa gente dedichi giornate intere a raccogliere qualunque materiale delirante contro Israele, inviarlo ad altri, tradurlo, costruirvi altri discorsi pieni di odio e privi di senso. Ad esempio, nella vicenda del Cafe Palestine di Friburgo in cui il Prof. Heinrich Schwendemann ha giustamente dichiarato che non poteva partecipare ad un discorso con uno che relativizza la Shoah gli organizzatori dell’evento non si sono mica fermati, ma hanno invece fatto festa e continuato ad andare avanti invece di chiedersi: come mai un’autorità internazionale sul tema della Germania nazionalsocialista si rifiuta di partecipare al nostro incontro e fa tali dichiarazioni su uno dei relatori che abbiamo invitato? Non è che lo studioso avrà, magari, dei motivi che non riusciamo a capire? Non è che, sull’argomento, ne sappia magari qualcosa in più di un sassofonista? Nulla di tutto questo può però raggiungere la mente del fanatico – penso anche a quel ragazzo italiano ucciso qualche anno fa da terroristi palestinesi a Gaza ed alla sua famiglia che, anche a dispetto del fatto palese ed incontrovertibile che non era stato ucciso da israeliani, si rifiutò ostinatamente di farne passare persino la salma attraverso Israele! Questo non è più lutto, e neanche amore di giustizia o libertà, ma il solito odio e furore irrazionale. E la storia ben insegna che l’odio non può mai essere contraddetto da nessuna ragione.


(Pubblicato, il 20 febbraio 2015, nella mailing list di SpI)