Emanuele Severino, in una recente intervista, ha affermato che quello che l’uomo
cerca sempre di evitare è il dolore e la morte. La dichiarazione dell’accademico
potrà forse dirsi vera entro certe filosofie o per le epoche antiche, ma
bisognerebbe notare che l’uomo contemporaneo è fatto, in proposito, di ben
altra pasta. L’uomo del mondo nuovo ha ormai smarrito gli orizzonti della morte
e del dolore, non perché questi siano stati cancellati, ma perché è diventato
talmente incosciente e inconsapevole di sé da non sentirli più quali orizzonti
propri. L’uomo contemporaneo si indirizza al consumo, alla pianificazione
materiale, all’acquisizione di cose e certificati, ai programmi ed
al guadagno economico e questo è tutto quanto gli è rimasto della vita. La sua
esistenza gli appare come un grande gioco di profitti, perdite e pianificazioni
dal cui orizzonte è scomparsa la morte, il dolore, ma anche la passione, l’amore,
l’empatia, la ricerca di senso e la conoscenza. Anzi, l’uomo contemporaneo
sacrifica sull’altare delle sue illusioni proprio quei sentimenti che rendono l’umana
misura alla vita. L’uomo contemporaneo ha annullato se stesso fino al punto da
non riconoscere più l’annullamento (in altri termini si direbbe che si è
abbandonato all’alienazione). Quest’uomo nuovo ha sposato il non-senso in
maniera talmente radicale da non riuscire a riconoscere null’altro dalle sue
illusioni e per questo pianifica, sceglie e programma come se la sua vita ed i
suoi giochi fossero indubitabili e infiniti. L’uomo contemporaneo, come i suoi
progenitori, ha certamente ancora paura di ciò che potrebbe accadergli domani,
ma ha al tempo stesso completamente rimosso il pensiero di dove conduca il
cammino della vita. Fino a poche generazioni addietro si aveva ancora
coscienza, anche linguistica, della temporaneità e caducità dell’esistenza e la
si accettava per la sua naturalità: pulvis
et umbra sumus. L’uomo contemporaneo sembra abbia invece dimenticato tutto
di sé, abdicando ad un pseudo dover-essere
dettato da deliri collettivi e globali e pare raggiunga ormai il dolore e la
morte in maniera puramente accidentale.
L’uomo contemporaneo, perso nei suoi costrutti, è così convinto della sua
potenza da pensare di poter pianificare anche contro il destino e contro il
cuore. Suddito della tecnica, crede di poter pre-vedere l’esistenza e, per questo, si illude di riuscire a
pianificare fino ad aggirare gli orizzonti umani di dolore e morte, anche
perché spera nel soccorso della tecnica che, secondo lui, lo aiuterà a sconfiggere il
dolore e posporre la morte. Per questo l’uomo contemporaneo si allontana
dalla religiosità, anche se la sua è più una defezione che un allontanamento
dal divino; avendo per millenni interpretato l’Eterno come la potenza suprema
egli ha ora liberato la tecnica, ossia una potenza più materiale e vicina cui
allearsi, abbandonando il divino solo perché non lo rassicura tanto quanto la
tecnica (ma ci sono anche quelli che, tanto per non farsi mancare nulla,
tengono da una parte la tecnica e dall’altra la religione). Autenticamente vivo
è, però, chi sente e comprende, come i poeti, che nella vita c’è più delle cose
(Hegel ribadiva che la coscienza è più forte della morte perché la oltrepassa),
ma l’uomo nuovo è stato astutamente accecato alla luce.
E’ evidente che un individuo che ha rimosso dall’esistenza la morte, il
dolore e le passioni, ha anche rimosso ogni forma di pensiero profondo e di sapientia perché queste lo
ricondurrebbero nuovamente a quelle verità e quegli enigmi che preferisce
invece provare ad aggirare. Da qui il sorgere di un mostruoso apparato (l’Odradek?)
per conseguire la negazione dell’esistere dentro la vita: mezzi di distrazione
di massa, traguardi apparenti, finti conseguimenti, giochi sociali ed economici
con i quali provare ad eludere e ingannare il tempo e respingere la coscienza
del memento mori. La nostra è un’epoca
di scombinata stultitia e
incoscienza, come pensare allora che possa invocare o avvicinarsi a ciò che non
le assomiglia per niente?
(Dr. Divago)