“The
first coronavirus dictatorship”
Yuval
Noah Harari
La stampa, la quale si autoproclama, da
tempo, come essenziale e fondamentale per una società democratica, appare stia invece
avendo, contrariamente, un effetto fatale su questa, se non altro a causa del
fatto che l’apparato mediatico, oltre ad essere a libro paga, è composto da una
percentuale infinitesima della popolazione la quale ha, però, un’influenza
massiccia e sproporzionata sull’opinione pubblica. Grandi analisti della
comunicazione come Marshall McLuhan facevano proprio osservare il paradosso
secondo cui la stampa è stata
praticamente trasformata in un equivalente della pubblica opinione: il grande
sociologo scriveva: “The medium is the message”, il mezzo è il messaggio!
Come può dirsi però “democratico” il fatto che
poche centinaia o migliaia di stipendiati tecnici della comunicazione abbiano la
capacità effettiva d’influenzare decine e decine di milioni di persone libere?
Soltanto una società in cui il concetto di democrazia è stato da troppo tempo piegato
e reso irriconoscibile da questi tecnici della manipolazione può ritenere tale quarto
potere come legittimo o persino “necessario”. Una democrazia indirizzata da
pochi manca proprio di quei criteri fondamentali che la dovrebbero render tale.
Vicende come la drammatica questione del Corona
virus mostrano, con una chiarezza preoccupante e difficilmente paragonabile ad
altre situazioni storiche, come il meccanismo di produzione dell’opinione sia,
nei fatti, un meccanismo d’indottrinamento e manipolazione diretta del
cittadino. La gran parte dei dati che la comunicazione gestita offre alla
popolazione sul tema Covid-19 provengono, quasi unicamente, da fonti accuratamente
selezionate e da racconti ben cesellati e la manipolazione della terminologia,
associata alla solita guerra delle cifre, trasformano questa sindrome
simil-influenzale (Influenza-like illness
(ILI)) in uno spettro ferale acquattato per le strade del mondo in attesa di
assaltare ed uccidere chiunque. Ascoltando le martellanti voci della stampa si
ha l’impressione che il Corona virus sia una specie di peste nera portatrice di
una morte invisibile, misteriosa ed onnipresente, con il risultato d’incutere
un terrore primordiale nel cittadino il quale è, a questo punto, disposto ad
accettare qualunque imposizione possibile o altra norma restrittiva. Tutti gli
italiani sono, in questo momento, liberi con la condizionale! Nel periodo
fascista era necessario esibire dei lasciapassare per circolare e, anche
all’epoca, la maggioranza dei cittadini aderiva e persino approvava tali
imposizioni senza pensarci sopra – questo fino al momento della liberazione
quando, nottetempo, il 99% degli italiani divennero miracolosamente tutti
antifascisti. In certi casi la notte porta Babbo Natale o la Befana, in altri
porta palate di antifascismo.
Come ha dichiarato il virologo italiano
Matteo Bassetti in una frase adesso esecrata dalla stampa la quale continua ad
inveirci sopra non ne appena può: “morire per
il Corona virus è una cosa, morire con
il Corona virus è un’altra” (il corsivo è mio), in altre parole un
semplicissimo invito alla calma ed al ragionamento.
Se, poi, escludiamo il personale medico e le
immagini costantemente proposte dalle televisioni, sono pochissimi coloro i
quali hanno davvero visto da vicino un malato di Covid – (tenendo presente che
“malato” non è “infettato”), eppure questa malattia è stata resa reale ed
onnipresente dalla simbiosi tra apparato politico e mediatico. Se qualcuno
dovesse però prendersi la briga di andare a verificare le informazioni offerte
dall’OMS o altre istituzioni sanitarie noterebbe, innanzitutto, una radicale differenza
di linguaggio, almeno fino a questo momento. Se la stampa propaga il numero di
contagiati come se questi fossero ad un passo dalla malattia e dalla fossa, istituzioni
sanitarie ad alto livello scrivono:
“People may be sick with the virus for 1 to 14 days before developing
symptoms. The most common symptoms of coronavirus disease (COVID-19) are fever,
tiredness, and dry cough.
Most people (about 80%) recover from the disease
without needing special treatment.
More
rarely, the disease can be serious and even fatal. Older people, and people
with other medical conditions (such as asthma, diabetes, or heart disease), may
be more vulnerable to becoming severely ill. Le persone possono contrarre il virus per 1-14 giorni prima
di sviluppare dei sintomi. I sintomi più comuni del coronavirus (COVID-19) sono
febbre, stanchezza e tosse secca. La maggior parte delle persone (circa l’80%)
guarisce dalla malattia senza bisogno di trattamenti speciali.
Più
raramente la malattia può essere grave e persino fatale. Le persone anziane e
le persone con altre condizioni mediche (come asma, diabete o malattie
cardiache) possono essere più vulnerabili ed ammalarsi gravemente.”
Questo non pare certo un linguaggio che
induce al timore o al panico! Eppure questo linguaggio e queste dichiarazioni vengono
cautamente evitate dal meccanismo mediatico e, anzi, medici virologi
coscienziosi e competenti come il Prof. Stefano Petti in Italia, il Dr.
Wolfgang Wodarg o il Dr. Claus Köhnlein in Germania, vengono letteralmente cancellati
dalle aule televisive e, in certi casi, persino linciati mediaticamente, mentre
asini in cattedra vengono trasformati in purissimi eroi nazionali! Questo, a
mio avviso, anche perché abbiamo da troppo tempo smesso di guardare in faccia
le persone.
Il pericoloso connubio tra questa stampa e
questa politica sta producendo conseguenze tragiche ed epocali che cominceremo
a vedere tra qualche mese con più chiarezza e, speriamo, con maggior lucidità. Purtroppo,
uno degli elementi centrali che ormai rendono ancor più baldanzose le classi al
potere è di avere a loro disposizione, grazie al controllo sui media e sulla
cultura – ossia il controllo sull’immediato e sull’elaborazione del passato – la
possibilità effettiva di trasformare la realtà a loro piacimento; questa è una tra
le due ragioni per le quali i nostri dominatori non temono più la storia,
poiché credono, come lo credeva già il Machiavelli, che questa può esser riscritta
secondo la volontà dei dominatori, un paradigma grandemente pericoloso.
Una questione sanitaria seria e delicata
come la profilassi virale viene ormai trattata come se fosse un incontro
calcistico! Le maggioranze vengono indotte, attraverso una manipolazione
emotiva e dei fatti efficiente, ad applaudire provvedimenti distruttivi e fondamentalmente
contrari ai diritti fondamentali del cittadino. In questo gran parapiglia, le
masse alla fine ringraziano pure i loro politici per averle messe agli arresti
domiciliari indossando, così, la maglia del “Team Covid” mentre, dall’altra
parte, si trova la solita sparuta minoranza del “Team Galilei” la quale prova
ancora a sussurrare “eppur si muove”, ossia che lo sragionamento non potrà mai
equivalere al ragionamento, anche se questa è la squadra perdente e non da
oggi.
Gli storici del futuro – semmai ve ne sarà
uno – avranno non poche difficoltà nel provare a ricostruire la storia moderna
e contemporanea, in particolare eventi come questa trasformazione globale di cui
stiamo vedendo appena i prodromi. Già per noi che viviamo all’estero è difficile
capire quello che sta avvenendo in Italia poiché non possiamo verificare, come
al solito, se quanto si vede nelle televisioni sia davvero ciò che avviene:
viene un po’ da pensare alla famosa foto nel campo di Trnopolje, nel 1992, dove
si vedevano dei musulmani bosniaci, in apparenza circondati da filo spinato,
mentre in realtà era la fotografa ad essersi messa all’interno di una
recinzione scattando una foto all’esterno, facendo sembrare che quelli che
stavano fuori fossero invece quelli che stavano dentro![1] In questi giorni hanno persino smascherato
un blogger il quale svuotava gli scaffali al supermercato spostando le merci
nel carrello per poter così fotografare i ripiani vuoti e poi pubblicarla
online, una manipolazione alla buona e fatta in casa, nulla a che vedere con
quella degli apparati.
A chi dovrà allora credere lo storico del
futuro? A quelli stipendiati per raccontare una certa versione del reale,
oppure a chi racconta in maniera disinteressata quello che vede? Quelli che
raccontano perché stanno lì e non perché qualcuno li paga per esser lì, una
differenza che non è certo da poco. Come faranno i posteri, ai quali è pur sempre
demandata l’ardua sentenza, a
decidere? È difficile da immaginare in questo momento, poiché dipende dal
futuro a cui condurrà il nostro presente. Se la manipolazione per opera di
pochi continuerà ad avere un ruolo preponderante e la socialità verrà sempre
più schiacciata sotto ideologie costruite ad hoc per favorire il sistema
dell’ineguaglianza, allora gli storici del futuro saranno come quelli descritti
da George Orwell in 1984 e penseranno soltanto a manipolare il passato
per adattarlo all’ideologia dominante del loro presente. Se, invece, per
qualche immensamente fortuita combinazione, le nostre società riusciranno a trovare
una strada verso il rinsavimento, allora un futuro diverso sarà possibile.
Quello che oggi sembra non s’intenda quasi per nulla è quanto il destino della
nostra specie sia appeso ad un filo e quanto sia intensamente legato al nostro
rinsavimento sociale e individuale, anche se tutti i segnali sembra vadano, in
particolare in momenti come questo, verso la direzione opposta.
Non si può, in
conclusione, evitare l’impressione che una parte dell’isteria di fronte a
questo virus sia anche un meccanismo per provare a rifuggire psicologicamente
l’idea della morte: lo shock più grande per le popolazioni, ormai ridotte a
spettatori e consumatori, è l’aver scoperto che la morte è una realtà sempre presente!
Anche questo, allora, è l’ennesimo sintomo, uno dei troppi, dell’immaturità
esistenziale della nostra epoca la quale, non volendo più provare a ragionare,
a pensare, finisce per rifuggire dalla vita, non dal virus e neppure dalla
morte.
[1] La falsa foto
venne scoperta dal giornalista tedesco Thomas Deichmann il quale pubblicò un
articolo dal titolo: La foto che ha
ingannato il mondo. Cfr. A. Hoskins, B. O’Loughlin, War and Media. The Emergence of Diffused War, Polity Press,
Cambridge 2010, p. 95.