Monday, March 26, 2012

Siracusa nei ricordi degli altri

La casa editrice Baldini e Castoldi, a distanza di due anni dall’edizione svizzera pubblicata a Bellinzona, ha stampato un volumetto di frammenti biografici di Demetrio Eugenio Vittorini, figlio del grande Elio. Il libro si articola in quarantatré frammenti più un epilogo e racconta sprazzi della vita familiare dei Vittorini, ma anche dell’Italia del tempo, dello zio e premio Nobel Salvatore Quasimodo e dei tanti amici e conoscenti della famiglia, dalla scrittrice Marguerite Duras e suo marito il filosofo Dionys Mascolo, a Sonia Blair vedova di George Orwell, fino a Peppino Burgio, emigrato da Siracusa per andare a combattere in Spagna contro i franchisti. Il fatto che il libro di Demetrio Vittorini sia composto da frammenti spiega forse l’assenza di tanti nomi e cose notevoli che, inevitabilmente, sono collegati alla vita di Vittorini e vanno da Cesare Pavese al Gattopardo. Del resto lo spazio, di appena un centinaio di pagine stampate in corpo dodici, non consente chissà quali voli pindarici; stupisce, però, la presenza di un’unica citazione su Togliatti in cui Elio Vittorini è dipinto mentre chiede al segretario del Pci un favore di natura privata: nessuna parola invece, neanche una noticina alla fine, sulla dura polemica che contrappose i due. Sullo sfondo si intravedono alcune figure importanti come Vittorio Sereni o Pratolini, ma vengono più o meno trattati come comparse.

Credo di aver letto, da qualche parte, che Vittorini, così come Vitaliano Brancati, non fosse un particolare estimatore delle Rappresentazioni Classiche al Teatro Greco di Siracusa e il libro del figlio conferma questo ricordo: «Una cosa che Elio non poteva soffrire erano le rappresentazioni classiche al Teatro Greco. Li trovava spettacoli pieni di affettazione e pretenziosità». Altra cosa di cui Demetrio Vittorini è prodigo nel libro sono le descrizioni di Siracusa come di una città «distrutta dall’avidità, stoltezza e brutalità dei suoi abitanti. Dico questo perché non venga in mente a qualcuno di cercare qualche traccia di Elio Vittorini tra le disgraziate rovine che si ostinano ancora a chiamarsi Siracusa» (nonostante fino a qualche anno fa vi abitasse ancora la zia Iole). Il figlio di Vittorini scrive di una città distrutta: il suo splendido padre avrebbe magari sostenuto l’idea di una città offesa, ma non distrutta. Diversamente dal figlio, Elio Vittorini di Siracusa conosceva gli odori dei vicoli ed i tramonti sul mare, era cresciuto tra i vicoli di Ortigia passeggiando sotto le fioche luci notturne e più volte si era fermato ad ascoltare le voci dei bimbi tra quelle viuzze capaci di ritagliare forme strane da un camminamento di via del Laberinto, alla Mastrarua o nella discesa di via Dione. Il padre conosceva il vociare della gente tra i vicoli, l’odor di pasta e in alcune stradine il profumo del legno tagliato dagli ebanisti, oppure quella forte aria piena di salsedine che viene dal mare quando si passeggia sul lungomare di levante oggi a lui dedicato. Ma il figlio, pur avendo vissuto per un certo periodo a Siracusa, queste cose sembra non le abbia mai sentite e nel suo libro condanna capre e cavoli: la città bella ed i suoi cattivi padroni. «Siracusa nel ‘48 aveva solo una libreria e non credo che la situazione oggi sia migliore perché le centomila piccole, rabbiose automobili che infestano quelle rovine non sanno leggere, così come gli zombies (sic) senz’anima e senza memoria che stanno dietro al volante di quelle macchine. Dopo aver distrutto una città gli esseri umani si estinguono e lasciano solo macchine e zombies tra cumuli di rifiuti». Ma di quale città sta scrivendo Demetrio Vittorini? Magari prima di lanciarsi in un tal panegirico, avrebbe potuto documentarsi e scoprire che, attualmente, a Siracusa esistono oltre una decina di librerie, senza contare gli antiquari. Quell’unica libreria di cui Demetrio Vittorini scrive è forse la libreria di Rosario Mascali (perché sulla stessa strada c’era anche la libreria del famoso signor Taggeo, un personaggio che sembrava uscito da un racconto di Christopher Morley) e dimentica che, per una cittadina meridionale degli anni ‘50, anche una sola libreria, non sarebbe stata comunque poca cosa. Demetrio Vittorini sembra anche ignorare che proprio Rosario Mascali era anche editore e che, in alcuni casi, i volumi pubblicati da quella libreria di Siracusa sono oggi diventati parte integrante della cultura nazionale: penso al libro Che cos´è questa Sicilia? di Sebastiano Aglianò, siracusano emigrato a Firenze e pubblicato per la prima volta dalla meritoria libreria editrice Mascali nel 1945. L’opera di Aglianò venne persino recensita da Eugenio Montale, Guido de Ruggiero e Leonardo Sciascia e ripresa da Mondadori e Sellerio. A questo punto mi sia concesso aggiungere una breve memoria personale: da ragazzo, frequentando proprio la libreria Mascali, mentre una sera sfogliavo alcuni libri in uno dei tanti angoletti dedicati a questa o quella disciplina, sentii il proprietario, il vecchio signor Mascali, che ascoltava un signore –l’unico al quale fosse consentito fumare dentro la libreria – il quale gli confidava: “Ah! Da Bompiani mi trattano male...”. Anche se ero ragazzo capivo bene che Bompiani era un editore nazionale e devo ammettere che nell’uomo che parlava c’era un petit je ne sais quoi, una particolare presenza e un portamento non comuni, ma in quel momento non riuscivo proprio a spiegarmi la frase sull’editore Bompiani. Durante la successiva visita alla libreria, chiesi al signor Mascali chi fosse quel tizio che, qualche giorno fa, gli parlava di Bompiani in prima persona. Il signor Mascali mi guardò un po’ sorpreso e poi, quasi sottovoce, mi disse: “ma quello è Leonardo Sciascia...”. Fu così, grazie al vecchio Mascali, che il primo scrittore da me incontrato sia stato proprio Leonardo Sciascia! E per Demetrio Vittorini quella era una sola libreria... In siciliano diremmo che è sì una, ma fa per cento!

Demetrio Vittorini, ignorando proprio molte faccenduole su Siracusa, nel suo libro rincara la dose prendendo di mira anche i monumenti della città e narra il resoconto di viaggio di un tal Herbert Kirby il quale pare abbia descritto il Duomo di Siracusa come «una bella donna che si è messa sulla faccia una maschera di carnevale». A queste digressioni l’autore aggiunge anche singolari considerazioni enologiche: «A Siracusa si beveva solo del passito dolce (...) Il vino secco era considerato un vizio da marinai». Dimentica, magari, che questa città millenaria aveva anche una sua particolare qualità di vino; il buonissimo Albanello di Siracusa prodotto da Viola, quel bar in Corso Matteotti a qualche centinaio di passi dalla libreria Mascali di via della Maestranza. Navigando da un’imprecisione ad un’altra, Demetrio Vittorini arriva all’iperbole raccontando che suo nonno Sebastiano pur facendo il cameriere al Caffè della Posta (locale che l’autore ritiene esista ancora), morì da Gran Maestro della loggia massonica siracusana! Ci si chiede innanzitutto di quale loggia massonica parli, poiché pare ne esistesse più di una, e, in secondo luogo, doveva trattarsi di una loggia ben strana se il cameriere del Caffè della Posta, non appena posava la sua giacchetta bianca dopo aver servito ai tavoli, poteva, ma solo in gran segreto, indossare quella di Gran Maestro e impartire insegnamenti esoterici a coloro ai quali aveva poco prima servito una granita alla mandorla, una fetta di cassata o un cannolo.
Inutile continuare a citare le incompletezze e le inesattezze del libro, il suo carattere disomogeneo, i giudizi affrettati e le tante esagerazioni (se magari nella premessa l’autore non avesse invocato il carattere biografico dell’opera, tirando in ballo nientemeno che James Boswell, avrebbe poi potuto chiamare a sua difesa la disomogeneità della memoria). Di certo si tratta pur sempre di una testimonianza personale ed è in tal senso che ha un suo valore, anche se ciò non impedisce, tra un pensiero e l’altro, il sorgere di una considerazione: da un padre come Elio Vittorini ci si sarebbe aspettati un figlio capace di meglio.

(Sergio Caldarella, edizione rivista di un articolo pubblicato nel 2002 sul quotidiano “Libertà”).