Sunday, January 8, 2012

Il caso e la scrittura


Scrittori e poeti, quei pochi rimasti, intrattengono da sempre una curiosa lotta con il reale ed in quest’impari tenzone la loro penna diventa una spada su cui appuntare tutte quelle sbavature che il mondo, nonostante il suo sghembo andirivieni, non riesce a coprire per intero. Può trattarsi di uno stormo d’uccelli in una fredda mattina d’autunno, di un fiocco di neve che rifiuta, ostinatamente, di sciogliersi nella notte o di una farfalla che spunta inaspettata e vola come eseguendo un rito curioso, ma è in questi piccoli eventi che lo scrittore trova segni che ad altri sfuggono e lo portano, come un segugio d’altre realtà, ad investigare la natura del significato apparente dietro le cose.
Per lo scrittore nulla accade “per caso” e per alcuni autori, forse i più estremi, tutto, ma proprio tutto, accade proprio perché doveva accadere, come se per il solo fatto di scrivere lo scrittore vedesse anche se stesso e il mondo come elementi di un’immensa trama. Shakespeare lo dichiarerà senza mezzi termini nell’atto secondo di As You Like It: «All the world’s a stage, / And all the men and women merely players: / They have their exits and their entrances; / And one man in his time plays many parts, Il mondo intero è un palcoscenico, / E tutti gli uomini e donne semplici attori: / Hanno le loro uscite e le loro entrate in scena; / Ed un uomo, durante la sua esistenza, recita molte parti».

Lo scrittore è un ladro di verità e scovare sempre connessioni tra cose ed eventi è parte inscindibile del mestiere di scrivere. Una scrittura che non si accorga di questi significati che occhieggiano da eventi apparentemente senza collegamento è capace di narrare solo piccole cose, una scrittura piccola per un piccolo mondo fatto solo di piccoli uomini e di piccoli eventi. Se c’è proprio un elemento fondamentale nella scrittura è quello di investigare la ragione che muove, o sembra muova, gli umani eventi, una ragione che sfugge agli occhi distratti o offuscati dalla nebbia del mondo. Omero, il primo narratore dell’Occidente, dietro le crudeli lotte degli uomini vedeva la danza di dèi antichissimi e con questo spiegava, a suo modo, i capricci del mondo. La cultura contemporanea che si crede tanto lontana da queste antiche narrazioni spiega il mondo diversamente, ma lo spiega anch’essa con una narrazione dove al posto degli dèi ci sono cose, macchine e denari ma alla fine, anche questa curiosa cultura del nostro tempo, ha pur sempre bisogno di qualcuno che racconti una storia, qualunque essa sia. Ogni cosa è, del resto, una prova di qualcos’altro. La teoria degli insiemi insegna che anche un insieme vuoto ({ }), il grado zero degli insiemi, è ancora un insieme e in sanscrito lo zero può essere, a seconda dei casi, vuoto (sunya) o pieno (purna). Pare proprio che, a dispetto dei piccoli sogni dei materialisti, vi sia nelle cose sempre molto più di ciò che appare.

Lo scrittore non guarda, vede, e questa non è una sua dote precipua, ma una prerogativa propria e intima della scrittura. Per scrivere bisogna dapprima concentrarsi su cose ed eventi e, come ben sanno quelli che da bambini passavano ore a fissare una bottiglia, un rocchetto, un tappo di bottiglia o un rospo che non voleva gracidare, le cose, a forza di venir fissate, perdono il loro contorno e cominciano a rivelare una natura diversa e ambigua. È come se, a forza di concentrarsi su qualcosa, essa iniziasse a svanire, mostrando una realtà che stava proprio lì, davanti a noi, e bastava solo guardar meglio per trovarla. Solo i bambini conoscono questi grandi segreti del mondo e lo scrittore è colui che ha ancora abbastanza memoria per ricordare quell’epoca in cui tutto appariva nella sua apparenza e lo sguardo sapeva sempre leggere quello che si celava dietro il manifestarsi del reale: ad un bimbo basta disegnare un paio di quadranti e indicatori in un cartone vuoto per trasformarlo in una fantastica astronave per viaggi verso galassie immensamente lontane, oppure raccogliere su una spiaggia un paio di sassi lisci e colorati per farli diventare tesori perduti da Achab o dal Capitano Nemo. Quello che fa lo scrittore o il poeta è ricordare la freschezza di quello sguardo passato e utilizzarlo, come una lente, per smascherare la patina che il tempo dipinge sul mondo.

(Sergio Caldarella, Il caso e la scrittura, pubblicato in «Rivista di Studi Critici e Letterari», n.178, 2012)