Sunday, January 9, 2011

Il tempo e le cose


Michel Foucault darà il titolo di Les Mots et les Choses. Le parole e le cose, ad uno dei testi chiave della sua riflessione sottotitolandolo con Une archéologie des sciences humaines. Ma che ne è invece del tempo e le cose? Cosa succede alle cose nel tempo e cosa succede al tempo quando si smarrisce tra le cose? L’ipseità del mondo viene rafforzata dal tempo o ne viene rettifficata, plasmata, soggiogata? La scienza moderna ci dice che il tempo non esiste e, nella teoria della relatività, esso diviene una semplice coordinata, creando non pochi problemi e paradossi. Per i Greci molti erano invece i volti del tempo: era Chronos e Aion, materiale e divino allo stesso tempo. Infinito e finito. In quanto divinità il tempo sapeva soggiogare il finito. Ma il tempo non si annulla nelle cose, sono queste che invece si sciolgono nel tempo, come gli orologi liquefatti di Dalì, soggiogati dalla misura dell’eterno. La stessa cosa diranno in modi tra loro diversi anche Kafka e Borges.

Per colui incapace di vedere oltre l'infinitesima misura delle cose, tutto si riduce e riconduce alla fosca ombra delle lancette. Chi invece sa come aprire gli occhi davanti al vero scopre che l’eternità è già contenuta nel presente di un istante, che si può vivere il tutto nel nulla e viceversa, che si può guardare un fiore e pensare ad un tramonto, coprire una rosa e vederla più vera, cogliere il battito d’ali di una farfalla e trovarvi i segreti dell’amore o dell'infinito. Se il tempo degli antichi soggiogava le cose – così come anche il tempo dei moderni – esso però era incapace di soggiogare la volontà vera dell’uomo.

Il cuore umano per le mitologie e le fiabe è sempre stato più forte di qualunque fiamma, più duro di ogni lancia con la quale lo si voleva trafiggere. Daniele entra nella fossa dei leoni con cuore sereno perché egli sa, conosce una verità interiore che gli altri, quelli che dei leoni hanno paura, non conoscono. Peccato che nessuno potrà mai spiegare nulla della verità vera a coloro che preferiscono abitare dentro le tenebre chiamandole luce. Un po’ come nell’avvertimento di Tacito Atque ubi solitudinem faciunt pacem appellant, ovunque creano un deserto lo chiamano pace.



(Tratto da: Sergio Caldarella, "Il tempo e le cose", Rivista di Studi Contemporanei, Nr. 103, Roma, Gennaio 2011).