Friday, January 15, 2010

Vivere senza vivere. Una nota sul film “Taxi driver”

Nel film Taxi Driver l’attore Robert de Niro interpreta Travis Bickle un uomo già a 26 anni così stanco di stronzate (bullshit) da non riuscire più a seguire nulla o a fidarsi di alcunché. Un uomo che vive strisciando sui muri, in sordina, attento a non toccar nulla, incapace di avvicinarsi veramente agli altri perché non conosce i codici di avvicinamento sociale – durante il primo (ed ultimo) appuntamento con la ragazza della quale si era invaghito la porta per l’appunto a vedere un film osceno!
Travis è un ex marine, non è un alcolizzato – altrimenti potrebbe anche ricordarci il vecchio Chinawsky –, non si droga, vive in un tugurio e guida un taxi, a volte anche a doppi turni. Travis non si interessa di musica, né di politica o di cinema, a meno che non si tratti di film pornografici seguiti però anch’essi con un certo distacco e disinteresse. Alcuni lo hanno definito con il cliché dell’antieroe ma Travis non ha nulla di eroico o di antieroico, Travis vive la sua vita come può, con grande stanchezza e disillusione. Tutto quello che Travis sembra cercare è un po’ d’affetto, ma c’è qualcosa che rende per lui difficile avvicinarsi ad un mondo che gli appare come interamente falso e instabile. Dalla costruzione di certe scene si intuisce che egli gusta la contemplazione di quel palcoscenico di umane miserie e vizi che sono le strade di New York city. Non riesce davvero ad interagire con gli altri, a meno che non siano anch’essi individui disturbati, forse per ricordarci che il personaggio è, fino al midollo, un uomo contemporaneo. Quello che Travis non condivide con lo stereotipo dell’uomo contemporaneo è la capacità di agire, ma per giugere a questo ha bisogno di qualcuno che gli fornisca una soluzione ed essa arriva per voce di quell’uomo che gli chiede di fermare il taxi in una strada per spiare dalle finestre l’incontro di sua moglie con un altro uomo, raccontandogli che si porta appresso una pistola con la quale ucciderà moglie e amante. L’arma è la soluzione. Travis agisce ed è agito, è vivo ma allo stesso tempo è anche perduto in un città di folle sconfinate dove tutto è indifferente e nessuno riconosce più nessuno. Egli è per sé, ma nessuno è per lui, dunque è profondamente solo e in quella solitudine non rimane più nulla da comprendere, l’immagine di quella solitudine è data anche dalla sua stanza vuota con pezzi di mobili vecchi e uno specchio sporco e rotto. Travis è prodotto dal caso e dalle circostanze: avrebbe potuto essere l’assassino di un candidato alla presidenza, ma poiché le circostanze lo impediscono ha invece ucciso qualche criminale da strada e la stampa lo ha elevato al rango di eroe metropolitano – e pare che questa sia anche la ragione per la quale egli non sconta nessuna pena e torna sulla strada a guidare il taxi. Ma Travis non è un eroe, Travis voleva solo farla finita in un modo o in un altro: uccidendo un politico o un magnaccia tanto, ai suoi occhi, recitano entrambi solo una parte nella grande baraonda contemporanea. Il film ha avuto le sue fortune e Travis colpisce perché, indirettamente, dice molto sulle rive di questo bel mondo fatto di sole luci e strass luccicanti.

Sergio Caldarella