Saturday, February 22, 2025

Un’ipotesi filosofica sull’antisemitismo corrente.


Si può leggere dal Libro di Giobbe a Leibniz, arrivando a Sergio Quinzio fino a René Girard, ma nessuno spiega, in maniera soddisfacente, quantomeno due cose rispetto al male: primo, perché questo trovi spalancate le porte della socialità e, secondo, perché è quasi impossibile da contrastare con il mero uso dell’intelletto e dell’etica. Il male chiama sempre la violenza, sia in quanto questo perpetra, sia nei mezzi necessari a sconfiggerlo.
Il grande scoglio per iniziare a provare a comprendere il sostegno - e spesso la passione entusiasta - offerto su un piatto d’argento agli assassini di Hamas dall’ONU alla BBC, fino al bar sotto casa, consiste proprio nel fatto di aver a che fare, ancora una volta, con una fase storica in cui il delirio e l’ignoranza etica e cognitiva sostituiscono bellamente la ragione, la conoscenza storico-fattuale e persino il più elementare buonsenso. Nel momento in cui ci si trova di fronte a dei soggetti i quali, attraverso frasi senza capo né coda, pretendono di poter ammantare il massacro e lo stupro con nomi diversi da quelli che gli appartengono è in sé evidente che ci si trova davanti a qualcosa che non può esser compreso per quel che appare. È come imbattersi in uno che proclami di esser Napoleone: si può dire che costui è un matto, ma questa non è una diagnosi, né offre una comprensione sulle motivazioni che lo inducono a proclamarsi empereur des Français. Manca una teoria efficace per comprendere quanto sta avvenendo a neppure un secolo dalla Shoah. 
L’antisemitismo è un’affezione della mente e dello spirito che ha delle peculiarità le quali sono, al tempo stesso, specifiche e mutabili; muta ossia storicamente pur mantenendo una specificità tutta propria. Per questo si può ricorrere all’associazione con la malattia, non come strumento retorico o, ancor peggio, come metodo di patologizzazione dell’avversario, ma perché ciò che è lapalissiano per un sano di mente diventa inapplicabile per il malato e viceversa. Se uno soffre di paranoia, quando provi a farlo ragionare, ti vedrà come uno che gli vuol male. Nell’antisemitismo vi è qualcosa di disumano, grottesco e parossistico allo stesso tempo. Dietro l’antisemitismo - se è possibile ipotizzare che vi sia qualcosa dietro il nulla - mancano sempre i fatti o, per meglio dire, il solo fatto è l’esistenza dell’ebreo che viene però traslato in una dimensione mostruosa ed immaginaria con cui provare a giustificare un odio che non può avere giustificazione alcuna.
L’antisemitismo è il nulla che grida ed arranca, occhieggiando dalle tenebre della storia, nutrendosi di vuoto ed abiezione. La rete consente, poi, anche l’emergere online di un antisemitismo anonimo il quale è tanto bieco e rivoltante quanto quello di altre epoche, ma vi aggiunge l’elemento di un’oscurità scabrosa e verminosa. Questo è un tratto che definisce una peculiare nullità, individuale ed esistenziale, la quale strepita in una rabbia cieca ed infame da vicoli umidi ed oscuri dell’anonimato: la psicologia di colui il quale vuol gettare la pietra nascondendo la mano. Ovunque vi sia un antisemita, lì vi saranno anche cecità e stridor di denti. Il XX secolo ha dimostrato, senza possibilità di appello alcuno, che l’antisemitismo è male e malattia e tale aspetto lascia intendere il perché questo emerga, con particolare veemenza, nei momenti storici d’incertezza e disagio ed attecchisca su quelli che non sanno darsi ragione di sé e del mondo. Essendo una cecità razionale e spirituale, appartiene a coloro ai quali manca una visuale umana sulla realtà e l’esistenza. È proprio nel vuoto esistenziale e nel nulla spirituale che l’antisemitismo esplode, poiché non trova al loro giusto posto le barriere del buonsenso, della razionalità e dell’umanità a fargli da argine. Sotto la cappa del male tutto sembra allora possibile, tutto appare come vero, pur essendo il contrario da questo. L’antisemitismo è, dunque, inversione di sé e dell’essere. Una società la quale discenda questi scalini è quella in cui il malessere sostituisce, lentamente e pericolosamente, il benessere. L’antisemitismo, infatti, non è mai una caratteristica peculiare di donne e uomini felici, ma il tratto di coloro i quali stanno soffocando dentro la vita, quelli che non sanno darsi delle spiegazioni vere e si ritraggono nell’immaginazione maligna e nell’odio. Nelle falsificazioni assolute dell’antisemitismo, molti tra costoro credono di scovare delle verità che non trovano in una quotidianità per loro scialba e deprivata di senso. Attraverso la costruzione psicologica dell’ebreo immaginario costoro evadono dalla responsabilità adulta di dover provare a spiegarsi, con impegno e sforzo, il mondo che li circonda: nell’antisemitismo trovano un capro espiatorio immaginario poiché, come si diceva, questo è un’affezione che ben attecchisce nel vuoto, nella miseria intellettuale e nel nulla. Coloro ai quali tutto manca si abbandonano facilmente ad un delirio che tutto vuole e pretendono che le loro vite siano in frantumi non per delle responsabilità, individuali o collettive, ma in virtù di una “potente cospirazione ebraico-massonica” che le vuole tali. L’elemento paranoide di tale atteggiamento è che, d’un tratto, esistenze prive di direzione assumono, come per magia, un significato immaginario e falso che a costoro appare, invece, pieno e vero: il vuoto e l’assenza di spiegazioni coerenti che irrompono, sfasciando tutto, tra i saloni della verità e del senso. La bontà d’animo sente il bisogno di occuparsi di cose belle, vere e grandi, mentre l’insipienza ha la necessità precipua di affaccendarsi con cose contrarie. Si scopre, qui, una grande biforcazione della specie umana che ne accompagna la storia. Da una parte, coloro che s’impegnano nello studio e nel tentativo di provare a capire e dare un senso al mondo, dall’altra, quelli che sanno già tutto come per magia o per osmosi. Nei periodi in cui la civiltà progredisce, questi ultimi lasciano semplicemente in pace i primi, nelle fasi regressive, salgono invece sugli scranni e le cattedre e creano uno scompiglio che porta indietro le lancette del tempo.
Il male è, sempre, un’inversione delle cose ed un’epoca infelice si trasforma, con facilità, in una società del contrario in cui l’antisemitismo si mostra come sintomo dei suoi tanti malesseri. Tutto ciò, nella sua enorme tragicità per coloro i quali subiscono quest’assurda piaga, ma anche per coloro i quali perpetrano questo male, contiene un aspetto che accenna alla cura. Alla luce di questi pochi spunti si potrà allora dire che una società eunomica sarà quella in cui esseri umani psicologicamente e culturalmente maturi non sentiranno alcun bisogno d’intrattenere volgari passioni antisemite, poiché la gioia di vivere non sente il bisogno d’incolpare nessuno. Dirigersi verso una società con al centro la reverenza per la vita (Schweitzer) e la libertà, le quali sono il contrario del nichilismo, significa allora stabilire quei presupposti attraverso cui gli esseri umani possano incontrarsi nel contesto di una consapevolezza che prescinde dall’immaturità dell’odio e dell’irrazionalità. Una società in cui gli individui non abbiano la sensazione di venir sballottati come barchette senza timone, ma una in cui vivano e sentano la loro autonomia e corresponsabilità rispetto agli eventi ed alla crescita sostanziale ed individuale. In pratica, il mondo della Life, Liberty, and the pursuit of Happiness, Vita, Libertà e ricerca della Felicità, cui indirizzava Thomas Jefferson. 
Il cinismo attraverso cui si vuol mantenere un certo stato di cose dichiarerà invece impossibile non solo ogni tentativo, ma anche qualunque discorso indirizzato alla virtù e non alla miseria. Compito delle donne e uomini di buona volontà è allora quello di continuare ad aspirare ad una socialità razionale e giusta, continuare ad indicare questa strada a dispetto di tutto e tutti, anche di coloro i quali non sanno di esser sperduti e, per questo, continuano ad abbaiare alla luna perché, altrimenti, non saprebbero cos’altro fare di se stessi e del loro tempo in frantumi.