Friday, March 31, 2017

“Non è più il momento”. Un commento sul discorso culturale contemporaneo.

                                                                              “No, non fa male credere, fa molto male credere male.”
                                                                                                                                                           Giorgio Gaber

Un argomento culturale non indossa né toga, né livrea, ed il discorso culturale lo si trova – o lo si dovrebbe trovare – in ogni luogo, un punto su cui si trova concorde il sapere da Eraclito alla Bibbia: “La sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce” (Prov. 1:20). Oggi siamo però posti di fronte a situazioni che, in altre epoche, avrebbero mostrato immediatamente la loro lapalissiana assurdità e suscitato un’indignazione culturale che non trova ormai più posto sugli scaffali della pseudocultura e intellighenzia dominante. Del resto, la corruzione dell’accademia contemporanea si rivela, chiaramente e tragicamente, in ciò che questa non offre, arrivando al paradosso (apparente) secondo cui le università si sono ormai trasformate nel più pericoloso nemico che la storia della cultura abbia mai dovuto affrontare (esiste, in merito, una vasta letteratura sommersa a cui rimando). Nessun pensatore del passato ha mai mostrato l’assoluta indifferenza riguardo al pensiero ed all’argomentazione dimostrata, a piene mani, dai vari cattedratici della nostra epoca (personalmente ritengo che, se passeremo ancora un altro secolo in questa situazione, finiamo come gli Eloi nel romanzo di H. G. Wells o ancor peggio). Del resto, l’obiettivo dei discorsi di coloro chiamati a “pensare per concorso pubblico” non è il discorso culturale quanto l’autopromozione, l’interesse personale o l’adesione ad una determinata consorteria partitica o burocratica e, dunque, una visuale fatalmente monca e machiavellica che si rivela, in molti modi, nella nostra società ormai deprivata di un discorso culturalmente serio ed autentico. Questa gente ben allineata, caldamente coperta da tocco e toga, lauti stipendi e prebende varie, non mostra, in genere, nessun interesse per alcun discorso che non serva ad una loro vanità o scopo personale o di casta e questo è, nella sostanza, un atteggiamento immensamente anticulturale, avverso e interamente nemico della conoscenza. Quello di contrastare questi discorsi è più che altro un dovere etico nei confronti del sapere e, conseguentemente, nei confronti della nostra specie, perché l’assenza di un discorso culturale autentico ha oggi generato un vuoto occupato dal buio e dal nulla in cui si inserisce ogni discorso teso all’annullamento del pensiero autentico.
Il compito della cultura è un compito fondamentale e profondamente umano e, così come in altre epoche, la custodia e la salvezza dei libri e della conoscenza era assegnata a pochi monaci in aree remote, questo compito è oggi demandato a coloro i quali sentono ancora il dovere etico del sapere come una necessità, osando contrastare la strabiliante marea del non-pensiero che ha schiacciato la modernità e sta spudoratamente trionfando nell’epoca contemporanea (o bisogna proprio ricordare alcuni degli autori e titoli che vanno oggi per la maggiore nelle librerie o nei dibattiti pubblici che, però, sarebbe meglio non ricordare?). In quanto società umana non ci possiamo permettere il livello di corruzione culturale che abbiamo raggiunto, tanto quanto non ci possiamo permettere il livello di inquinamento e sfruttamento scellerato cui sottoponiamo il pianeta che ci sorregge – e le due cose non sono così lontane tra loro quanto appaiono a chi non le consideri con attenzione.

“Qui habet aures audiendi, audiat” mentre gli altri, quelli per i quali la conoscenza è nulla e il micragnoso interesse personale è tutto, seguano pure i discorsetti in voga, magari strombazzando ai quattro venti “cultura, cultura”, tanto non è la prima volta che cose di tal genere avvengono nella storia della nostra miserrima specie, speriamo soltanto che non sia l’ultima.