Una stolida filastrocca vagamente
amata dagli hommes du monde recita: “la
filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale tutto rimane tale e
quale” anche se, nel nostro tempo, il termine “filosofia” pare sia diventato, escludendo
i circoli scientifici ed economici, una parola à la mode di cui amano fregiarsi proprio quei borghesi che, con la
quale o senza la quale, rimangono davvero tali e quali. Questi signori che
ormai non solo discettano di filosofia, ma ne sono diventati i pomposi
rappresentanti ufficiali, organizzano persino dei festival e magari, a breve,
vi dedicheranno anche un bel carro addobbato per il carnevale di Viareggio.
Dicono che, alle conferenze di un manipolo di eletti al recente festival di
Modena, Carpi e Sassuolo, abbiano assistito oltre 180.000 persone, un numero
certamente impressionante per chi si lascia impressionare dal numero. Quello che particolarmente rattrista è constatare come tutta
questa brava gente si sia recata all’evento pensando che avrebbe magari sentito
parlare di filosofia, trovandosi invece di fronte ad una sfilza di cattedratici
chiamati a pensare per concorso pubblico che gli hanno rifilato le solite
lezioni di misosofia (μισώσοφία) passandole, ovviamente, per elevatissima
filosofia fresca di giornata. Il grande Manlio Severino Boezio, nel suo
grandioso testamento spirituale e intellettuale che è la Consolatio Philosophiae, vergata poco prima della sua esecuzione
capitale, lasciava che già a suo tempo l’incarnazione della filosofia lo ammonisse
contro queste maschere incipriate: «Pensi tu – dice la filosofia – che questa
sia davvero la prima volta che la sapienza corre gravi pericoli ad opera di una
società corrotta? (Nunc enim primum censes
apub improbos mores lacessitam periculis esse sapientiam?) E non è forse
vero che, anche presso gli antichi, prima ancora che vivesse il mio Platone, io
ho dovuto ripetutamente sostenere grandi battaglie contro le iniziative
sconsiderate degli stolti, e che proprio durante la sua esistenza, il suo
maestro Socrate meritò di riportare, con la mia assistenza, la vittoria su
un’ingiusta morte? Purtroppo, dell’eredità socratica tentarono in seguito di
impossessarsi la plebaglia epicurea e stoica e tutti gli altri, arraffandola
ciascuno per proprio conto; e benché io protestassi e resistessi, trascinarono
via anche me, quasi fossi una loro preda, mi lacerarono la veste che avevo
tessuta con le mie mani e, staccatine brandelli, se ne andarono, convinti, ciascuno,
d’avermi portata intera con sé. E poiché in costoro si scorgeva una qualche
impronta del mio vestito, l’umana leggerezza, scambiandoli per miei discepoli,
spinse sulla strada sbagliata parecchi di loro, con grave danno della
moltitudine ignara».
Il metodo organizzativo di
queste manifestazioni è, poi, sempre lo stesso: si creano questi eventi come si
creano le carriere tra i corridoi delle accademie o in altre istituzioni ossia
invitando parenti, amanti, amici, complici, affiliati ed amici degli amici, un
po’ come si fa in tutte le organizzazioni di potere lecito o illecito: mala herba cito crescit. Sorprendono, in
tale contesto, studiosi attenti come Giovanni Reale, un filosofo come Carlo
Sini o un intellettuale di spessore quale Enzo Bianchi, ma sono mosche bianche
invitate per dare quantomeno una parvenza di serietà alla ciarlataneria. Se la
nostra non fosse una società del
contrario, sarebbe surreale pensare che è dal 2001 che, con grandi schermi,
sovvenzioni, bancarelle, tavolate, conferenze, fiaccolate, lezioni magistrali e
chi più ne ha più ne metta, vanno avanti con la messincena di questo sedicente
festival di filosofia tra Modena, Carpi e Sassuolo. A discolpa degli organizzatori
bisogna forse dire che questi poveretti devono arrangiarsi con il tessuto
culturale del Paese e bisogna concedere loro che, in un’epoca di mostruosa
banalità e omologazione, questi signori che mettono in cattedra possono pur
passare per filosofi. Se, però, questi organizzatori spendessero più tempo tra
le librerie secondarie e le bancarelle di libri usati, oppure a qualche
conferenza in una piccola biblioteca lontana dal trambusto, invece che davanti
alla televisione o nelle grandi librerie commerciali, forse scoprirebbero che
anche in Italia esiste una cultura più vera e meno di facciata molto diversa e
lontana da queste genti lugubri.
Questi signori che si
offrono al grande pubblico con parvenza di pensatori sono talmente presi a
recitare da far ritenere che la dote più grande sia la capacità di sapersi
fingere filosofi. Sanno fingere a tal punto da finire a fingere di credere loro
stessi a quello che fingono (Pessoa lo aveva già scritto anche se in ben altri
termini). Per questo bisogna prestare un’estrema attenzione a quel che dicono
ed a come lo dicono perché, come
diceva il grande Freud, se tacciono con la bocca parlano pur sempre con la
punta delle dita. Come ogni buon attore amano un copione ben scritto anche
perché gli viene facile da ripetere, così fingono di inebriarsi raccontando di
Platone, Cartesio, Kant o Nietzsche, come se davvero sapessero di cosa stanno
parlando. In realtà tra quelle stanze del pensiero non ci si sono mai
avventurati davvero e, per guadagnarsi un modesto tozzo di pane, orecchiano da
dietro le porte e ripetono a memoria e così tutto quello che sanno raccontare
sono a malapena dicerie di pensieri. C’è un filmato in cui uno tra questi
piccoli uomini (http://www.youtube.com/watch?v=iw7E18X3WqI),
uno tra i tanti chiamati a pensare per concorso pubblico, chiacchiera su
Friedrich Nietzsche con la sua voce biascicante e, ad un certo punto del suo
raccontino annacquato, dichiara tranquillo che, nel suo periodo finale a
Torino, il grande filosofo tedesco scriveva ai suoi amici: «delle lettere
esaltate dandosi arie da grande pensatore» (sic!). Ecco, basta starli ad
ascoltare e si tradiscono! Come si può dire di Nietzsche: «dandosi arie da
grande pensatore»!?! Questa frase non dice forse già tutto su chi la pronuncia?
Come si può trattare un filosofo del calibro di Nietzsche con tale
atteggiamento sprezzante? Forse qualcuno dovrebbe ricordare al professorucolo
che Nietzsche non si dava “arie da grande pensatore”, ma era un
grandissimo pensatore, una differenza a quanto pare per lui difficile da
cogliere. Una famosa frase, variamente attribuita, dichiara che noi non vediamo
il mondo così com’è ma così come noi siamo e, in questo caso particolare, il professorino
sta più confessando qualcosa su se stesso che dicendo alcunché su Nietzsche.
Alcuni tra i pochi direbbero che è una vergogna che la filosofia venga
rappresentata da questa gente, ma anche a questi già pochi bisognerebbe
rispondere che, proprio per potersi permettere un fiero incedere, costoro la
vergogna l’hanno ormai dovuta uccidere da tempo. Eppoi di cosa dovrebbero mai
vergognarsi? In sé non hanno abbastanza autocoscienza per dubitare di se stessi
ed hanno sufficiente scaltrezza per razionalizzare qualunque loro comportamento
e questa capacità di manipolare parole li fa sentire bene ed al loro posto.
Quella di usare le parole per assecondarle ad un bieco interesse è, purtoppo,
una vecchia piaga umana e non è un caso che Socrate fosse un acerrimo
oppositore dei sofisti, ossia di coloro che per primi fecero di questa
perniciosa facoltà un credo intellettuale. Ma a questa gente messa oggi in
cattedra neppure un Socrate redivivo riuscirebbe a farli dubitare di ciò che si
credono di essere e questo non vale unicamente per gli accademici, ma per i
politici di professione, manager, plutocrati e patriziati vari che controllano
oggi il mondo. Hanno semplicemente imparato a giostrare con le parole solo per
assecondare la mediocrità delle loro piccole anime. Credo fosse Flaiano a
sentire la mancanza di quei bei cretini di una volta poiché oggi anche l’ultimo
dei cretini è diventato un cretino sofisticato. Millenni di trasmissione
culturale sono forse serviti a questo? A rendere sofisticata la cretineria?
Mai come nel mondo dell’uomo
nuovo la conoscenza per amore della conoscenza aveva subito le offese che
patisce oggi, costretta a vivere in uno stato d’assedio prima ignoto. Ad
esempio, quando la gente parla, semmai ne parla, di un’epoca come il Medioevo
lo immagina nei modi in cui viene presentato attraverso l’indottrinamento
scolastico o cinematografico, ossia come di un’epoca “buia” e terribile (in un
recente discorso alle Nazioni Unite anche il Primo Ministro Netanyahu ha
proprio fatto riferimento al Medioevo come ad un’epoca oscura, meritando le
giuste critiche di alcuni intellettuali israeliani). Se, però, il Medioevo si
curassero di studiarlo meglio si accorgerebbero che è, invece, un periodo
ricchissimo di cultura, di imprese, di architetture e iniziative politiche,
contatti tra civiltà, grandi aspirazioni, scoperte e molto, molto altro ancora.
Grandi visioni del mondo e dottrine nascono in quel periodo, ma anche grandi
maestri di logica, matematica, eppoi cabalisti, filosofi, mistici, astronomi,
navigatori e, chiaramente, anche Santi e cattedrali maestose. Anzi, in
quell’epoca che si crede oscura, l’amore per la conoscenza ed i libri aveva i
caratteri della sacralità mentre oggi ha il solo carattere dell’orientamento
professionale. Studiandolo meglio il Medioevo si presenta come un’epoca di
grande vivacità intellettuale mentre, studiando la nostra epoca, se ne trae l’impressione
opposta di un periodo intellettualmente piatto e culturalmente scialbo,
pericolosamente sepolto sotto i macigni di omologazione, indottrinamento e
intrattenimento. La cultura medievale non era centralista come la nostra ma
aveva “centro in ogni loco” e Dante ne è forse l’esempio più eccelso.
Un antico proverbio
ebraico si chiede cosa sarà degli altri
alberi se il fuoco raggiunge anche i faggi? Ossia, se quelli che dovrebbero
essere i migliori tra noi si comportano come i peggiori, che ne sarà degli
altri e del mondo? Beh, per rispondere a questa domanda a chi sa ancora guardare
basta contemplare quel che ne è del mondo: res
ipsa loquitur. Quello che ci offrono è davvero un brutto spettacolo anche
se, alla fine, solo di uno spettacolo si tratta, lo stesso che offre la società
del capitale con i suoi frizzi e lazzi. Scrivere di tutto questo non è certo piacevole,
ma nella terribile emergenza in cui viviamo è necessario sobbarcarsi anche
questo povero compito. Difficile dire se un giorno la conoscenza autentica
tornerà a presenziare fattivamente nel mondo, ma fino ad allora è bene che
certe cose vengano dette anche se da una sola voce che si levi contro il
multiforme delirio di questo nostro piccolo tempo.
La teoria critica insegna
che il capitalismo produce delle profonde patologie della ragione e tra queste
patologie c’è anche l’annientamento del pensiero sostituito con vino nuovo e
annacquato. Molti sono i sistemi e le agenzie che si occupano di questa
sistematica distruzione della cultura e, conseguentemente, del pensiero. I veri
filosofi tra Ottocento e Novecento ci avevano avvisati, ma troppa acqua è
passata sotto i ponti della storia e alcuni grandi pensatori sono stati semplicemente
dimenticati ed altri colpevolmente ignorati, spesso proprio per garantire un
posticino a quelli che preferiscono stare dalla parte dei potenti e ricevere i
loro tozzicelli di pane. Theodor Adorno, un pensatore che il nostro tempo lo
aveva ben capito e spiegato, distingueva e trovava una pericolosa coincidenza
in tre livelli nella società capitalista: fascismo, stalinismo e industria
culturale! L’industria dell’omologazione, l’apparato di ripetizione di massa
che quando si appropria di un nuovo termine o prodotto lo porta immediatamente
sulla bocca di tutti, la produzione di bestseller, i diplomifici, la cultura
ufficiale, i nastri e nastrini che addobbano le carriere dei plutocrati che
controllano il nostro mondo servono fin troppo bene gli scopi dell’oscurità e
della dimenticanza di sé insieme all’asservimento agli oggetti ed al potere. Questa
trasformazione del mondo non si sarebbe potuta mai conseguire senza la fidata
complicità dei ciambellani della presunta cultura ufficiale. Un antico
insegnamento sapienziale ricorda che anche un uomo solo, seppur accusato e
maltrattato da tutti, può ergersi contro un mondo intero ed è proprio questo il
compito che, da secoli, si sobbarcano i filosofi autentici.
L’uomo nuovo è un uomo
tanto terribile quanto pericoloso e, diversamente da altre epoche, è ormai
irraggiungibile dalla voce del sapere poiché, anche grazie alla tecnica (τέχνη)
ed alle sue povere capacità di lettura e scrittura (a tal punto che stanno ora persino
escogitando congegni per tornare a scrivere con le mani nude sullo schermo),
crede di dominare tutto, anche il sapere. Da tempo i giornali hanno lasciato
cadere la Terza pagina sostituendola con quella degli spettacoli e, quando
ancora la mantengono sotto la generica dicitura di “Cultura e spettacoli”,
quello che vi scrivono riguarda canzonette e commedie, qualche libercolo
sponsorizzato o televisizzato o, per l’appunto, qualche bel festivalazzo di
misosofia. La situazione non cambia nelle presunte istituzioni culturali o
accademiche italiane e straniere: la nostra è ormai una povertà globale e
complessiva.
A questo punto direte: “ma come puoi scrivere queste cose?
Noi c’eravamo a Modena, Carpi e Sassuolo! Li abbiamo visti assisi sui podi a
battersi il petto con severa postura da pensatori, li abbiamo ascoltati
pronunciare parole difficili con aria grave e li abbiamo sentiti sospirare sui
mali dell’uomo e del mondo!” Ed a questo punto mi redarguirete malamente: “Sei
proprio un arrogante a parlare in questo modo di questi illustrissimi
cattedratici! Ma non hai visto che belle livree che avevano? E che bei tocchi?
E com’erano rossi i loro nasi? Eppoi, guarda, ma non vedi come stanno ben
assisi su delle belle sedie? Non basta forse già questo a farli filosofi?” Vorrei
allora aggiungere che le vostre obiezioni sono tutte vere: costoro sanno bene
come star seduti in bella postura e fare il grugno grave, sanno anche vestire
bei pannicelli caldi, anzi queste parodie gli servono proprio a vestire quei pannicelli
(http://materialivari.blogspot.com/2012/08/who-are-rich.html).
Per riuscire davvero a vederli bisogna però guardarli in faccia e provare a
leggere dentro quegli occhietti furbi e indifferenti. E se sono sembrati
filosofi è perché di filosofi non ne fanno più sentire da tempo. Quelli che
ormai fanno vedere sono quelli allineati e coperti, quelli che sanno sempre
come comportarsi, sanno cosa è utile dire e cosa non dire e stanno dalla parte
di chi sa sempre da che parte stare. E come sono bravi a far finta. Ah! Quanto
son bravi in quell’arte antica! Il filosofo autentico è invece uno che non sta da
nessuna parte se non dalla parte del buono, del vero e del bello e non sa
neppure come considerarsi parte, per
questo agli occhi di certi religiosi confessionali viene detto ateo, mentre
agli occhi degli atei viene detto religioso, così come per i filosofi è un non
filosofo e per i non filosofi un filosofo. Se questa gente che si arroga oggi
il diritto di discettare di filosofia avesse anche una vaga idea di cosa sia un
pensiero autentico, sarebbe magari capace di uscire dallo spirito parolaio e
bottegaio con cui erge cattedrali di vuoto e ripensare certi concetti sempre
attuali, trovandovi nuove strade, costruendo interrogativi sopra altri
pensieri, senza ergersi come se vi fosse qualcosa di nobile nello stare assisi
e non nel vedere. Le parole di chi pensa sono pesanti e contengono una forza
che trascende chi le pronuncia, sono parole che scuotono e accompagnano chi ama
comprendere, non una ninnananna rassicurante o un raccontino addomesticato per
l’intrattenimento. Il pensiero è domanda ma è anche risposta, non una risposta
conclusiva quanto un tenersi per mano, un raccogliere gemme e sorridere
insieme. Per questi, invece, significa solo parlare da un podio e raccattare
pepite. Poveri loro e poveri anche noi quando li ergiamo a maestri.