Saturday, July 6, 2019

Finis Europæ.

Nel complesso e articolato panorama della storia, il barbaro, l’incivile o il bruto, posseggono un vantaggio spropositato sul civilizzato poiché, in primo luogo, non hanno nulla da proteggere alle loro spalle, nulla di spirituale di cui dirsi difensori: il loro spazio è quello dell’immediato, di tutto ciò che può essere utilizzato, toccato, sfruttato, cannibalizzato, agguantato, addentato. Il barbaro non ha alcuna prospettiva che sia diversa dalla sua propria espansione, diversa dalla massimizzazione della sua volontà di potenza, diversa dal suo divorare tutto ciò che gli si pone sul cammino: se la civiltà crea ed edifica, la barbarie consuma e distrugge.
            La forza della clava è l’unico strumento riconosciuto dal barbaro e così, anche su questo aspetto, egli possiede un vantaggio abissale, immenso, quasi inconcepibile, sul civilizzato poiché, nel caso estremo, ossia per fermare il bruto, anche la civiltà sarebbe costretta a scendere nella stessa arena del barbaro, ossia quella della brutalità. Le opzioni della civiltà di fronte alla barbarie sono dunque limitate: utilizzare la forza che deprime e consuma la civiltà stessa, oppure arrendersi all’avanzata della barbarie, lasciandosi così divorare lentamente, immolandosi perché è il solo modo che questa ha per resistere più a lungo in vita. Finché esisterà la barbarie il destino della civiltà, di ogni civiltà, sarà quello di lasciarsi divorare. Il civilizzato potrà magari conoscere l’intelletto e il dialogo, ma questi a nulla servono tra i bassifondi dello spirito in cui si riconoscono soltanto la scaltrezza e l’istinto di sopravvivenza. Il bruto è, in molti modi, simile ad una zavorra che, quando numericamente notevole, è capace di affondare qualunque veliero, non importa quanto grande, bello o robusto. La cultura o la civiltà non sono davvero in grado di resistere alla zavorra della barbarie.
            Il barbaro, anche grazie a curiose e strabilianti leggi della natura, ha anche la quantità dalla sua parte e questo, alla fine, tende a farlo diventare persino un modello. Quando una civiltà diventa debole, poiché assalita dalla barbarie, questa arriva a dimenticare se stessa e persino le proprie forme essenziali e diventano sempre meno coloro i quali sono ancora capaci di intendere ciò che è cultura e fondamento mentre, dall’altra parte, aumentano vertiginosamente coloro per i quali la civiltà e la cultura non hanno un luogo e neppure un significato così, alla fine, la gran quantità di costoro fa sì che il sapere venga dimenticato, che si trasformi in una lontana rovina che essi, però, non mancano di occupare, rendendo antichi e nobili luoghi di cultura delle mere aule di fantasmi.
            In una società dove la barbarie prolifera rapidamente, perché quella di proliferare è anche la forza del barbaro, alla fine rimangono soltanto i modi e modelli della barbarie in quanto, grazie alla forza del numero, questi riescono a diventare dominanti, se non altro perché aumentando esponenzialmente rendono la cultura una mera rarefazione. Il barbaro non verrà mai sostituto dal civilizzato tanto quanto la gramigna non verrà mai sostituita dai fiori, quanto l’esatto contrario: questa è, forse, una tra le più curiose ed ambigue leggi del mondo.
            I Greci, i quali volevano fermare la barbarie, si erano proposti una società dell’eccellenza, ma anche loro sono caduti e la barbarie li ha travolti nel suo inesorabile cammino. Il destino del mondo e degli esseri umani in esso sembra sia allora quello di terminare unicamente nella barbarie.

(Tratto da: Sergio Caldarella, Finis Europae, «Il Pungolo» 5 luglio 2019).