Saturday, February 15, 2014

La belva del pensiero


Il pensatore, come il poeta, intrattengono una relazione intensa e passionale con il sapere e la conoscenza e non affrontano mai alcun pensiero con leggerezza, ma sempre come dei vigili domatori che si avvicinano quatti ad una belva temibile che può annientarli anche per un minimo volgersi del capo. Molte sono le insidie celate tra le terre della conoscenza e le menzogne della realtà, prima fra tutte la scoperta che ciò che genericamente chiamiamo vero sia appena un’ombra e quanto ci appare oscuro e instabile sia invece il solo vero. Avventurarsi tra quelle contrade del pensiero significa, allora, lasciarsi sbalzare lontano, fino al punto da non riuscire più nemmeno a riconoscere la strada da cui si era partiti. Il pensiero non è, del resto, una bestiola che possa venir addomesticata con calma, il pensiero è una belva che bisogna aggredire, assalire, scuotere e percuotere resistendo ai suoi possenti contrattacchi e ruggiti. Chi si arrischia tra le lande del pensare non può utilizzare il pensiero come una stampella, perché pensare è una costante sfida ad un duello di lame affilate. È proprio opponendosi con fierezza agli inganni ed alle trappole della vita e della presunta realtà che è allora possibile sfidare l’esistenza, provando a stanarne le contorte verità da antri e anfratti. Spesso, le conseguenze di questa tenzone hanno esiti tragici per coloro che avevano osato avventurarsi tra quelle terre smarrendovi la mente nella follia o patendo altre sconfitte per mano di altri fratelli uomini o del tetro destino. Con il pensiero si può lottare solo mettendo costantemente a repentaglio la sanità e la vita, mentre la temibile belva dall’altra parte, nonostante i suoi contraccolpi e trabocchetti, rimane imperturbata di fronte a questi curiosi cavalieri che s’inoltrano, circospetti, tra quelle terre. Il pensiero declama con voce tonante: «sappi che raccogliere le mie perle è una sfida terribile e pericolosa» e in molti modi invita e sprona a lasciar perdere quei perigli. Il Qohèlet dichiara severamente: «Chi accresce il sapere, aumenta il dolore» e, dopo tale ammonimento, solo gli ostinati o i posseduti hanno ancora il coraggio o l’incoscienza di perseverare su quella perigliosa strada. Gli altri, quelli che del pensiero hanno fatto una marmotta per aule tetre, si accontentano d’altro o si assiedono tranquilli su poltrone e cattedre di allori ai margini della strada. Eppure, anche se tutto quello in cui crediamo o speriamo fosse appena un sogno, non basterebbe forse la sola sfida a farlo reale? La realtà dei giganti non è nei mulini, ma nel cuore eroico di Don Chisciotte che vi si avventa contro. Del resto, cos’è l’uomo quando non prova ad ergersi sulla sua stessa umanità? Cos’è un uomo quando non rischia neppure di bagnarsi le caviglie nell’oceano delle verità? Facile a dirsi: è un essere che ha dimenticato se stesso scendendo anzitempo gli scalini dell’Ade o vestendo la benda dell’accecamento volontario. La ciarla non uccide il silenzio, la ciarla è già silenzio.

            Conoscere è un curioso cammino che si nutre del suo stesso percorso conducendo alla rimembranza attraverso la dimenticanza. Per conoscere davvero bisogna allora imparare dapprima a mettere da parte se stessi e cominciare a dimenticare ciò che si crede di conoscere e questo non può che spaventare e turbare i molti. Facile credere, difficile capire, arduo comprendere e impossibile arrivare a conoscere fino in fondo, perché il sapere autentico intende che, dietro ogni porta, se ne cela un’altra e nessuna chiave sarà mai in grado di aprire tutte le porte: ciò che è dalla parte delle aquile non può dirsi uguale a ciò che è dalla parte dei gabbiani. La potenza (δύναμις) del pensiero non può mai venire interamente dominata ed è solo in virtù della loro inerzia e della loro acquiescenzia che gli uomini credono nelle risposte conclusive con le quali rassicurano i loro giochi mondani. Comodo, del resto, credere che il labirinto abbia una chiave, che l’universo possa finire o l’immensità possa essere racchiusa dentro una cifra. Comodo ma, al tempo stesso, privo di vita.

(Sergio Caldarella, La belva del pensiero, in «Studi Traslitterali. Rivista di Arti & Culture varie», Lugano 14 febbraio 2014).