Il lusso è ingiustizia sociale
congelata, ma anche una tra le tante misure della distanza tra noi e il senso
quale contenuto significante dell’esistere e dell’esistente. Il lusso è il
compimento di un distacco non soltanto tra uomo ed uomo, ma anche tra uomo e
mondo: una gabbia luccicante costruita su divisioni, ingiustizie, appropriazioni,
espropriazioni e la solita hybris di
un essere caduco e mortale che vuol invece credersi invincibile ed immortale.
Il superfluo, l’abbondare di cose e merci di ogni genere si configura, dunque,
come il sintomo di un gravissimo malessere: il vivere la morte già dentro la
vita.
Il lusso è, necessariamente,
separazione, distacco puramente materiale che coincide sia con l’indifferenza
per gli altri, sia con l’indifferenza verso il pensiero autentico, dando misura
del distanziarsi dell’uomo dalle verità e dalle ragioni che pungolano e
inquietano la vita. Il lusso è materia levigata a specchio in cui si riflette
un volto svuotato e nullificato da una concezione del mondo e della vita senza
spiraglio alcuno, un soffocante riflesso che avvelena lo sguardo dell’uomo in
uno sfavillio di oscuri fuochi fatui. Nella materia non c’è alcuna luce e, per
questo, colui che vi fissa troppo a lungo lo sguardo si perde nella curiosa
oscurità del suo vuoto. Chi abbraccia il freddo delle cose finisce per ignorare il calore delle parole e delle idee
autentiche e vere. Chi afferra soltanto ciò che è materia taglia, già in sé,
tutto ciò che alla materia non pertiene né appartiene. Sorge da qui un’intera
scienza delle cose seconde, del
pensiero che diventa moto neurologico, della vita che diventa a malapena
aggregato cellulare e di ogni altro intangibile squassato sotto il tallone di
pesi e misure materiali. L’uomo che si spegne trascina i suoi pesanti scarponi
in lande remote, ma non sa più riconoscere null’altro che non sia solo peso. È
un uomo che scaraventa tutto, essente ed esistente, sulla bilancia della
materia. Naturale, allora, che un uomo siffatto, ridotto ad uno spettro
accecato dal dolore di esistere, cerchi rifugio nella distanza che il lusso ed
ogni altro artificio della materia sanno proporgli, finendo per costruire torri
sfavillanti quale prova tangibile dell’irriconoscibile distanza che egli ha
posto tra sé e la vita autentica.
(Sergio Caldarella, L’infatuazione
per il lusso come segno della distanza in «La Voce della Voce. Trimestrale
di Cultura e Notizie», Bormio, genn. 2014)