Come sono bravi questi bravacci e farabutti a celebrare i
poeti quando sono morti. Sono bravi a strabuzzare gli occhi e fare gesti di
commozione truci quando il poeta non è più tra loro e sono ormai sicuri che non
può smentire i loro vuoti commenti. E quanto false sono tutte le loro parole! False
come le loro vite di carta secca. Che se ne farebbero, del resto, loro che
intendono solo le cose morte, di un poeta vivo? Anzi, quando parlano del poeta
da morto gli fanno quell’ultima violenza che non potevano fargli da vivo:
rubargli il senso delle sue parole per farlo diventare un altro pupazzo di sale
nella loro macabra collezione di silenzi. Le parole del poeta rigurgitano di una
vita che questi commedianti della cultura non potranno mai comprendere e per
questo provano ad ingabbiare ed ammazzare anche le parole sopravvissute. Sono
mostri, orchi dalla faccia infame e imbellettata, e non sanno che i loro rigurgiti
sono a malapena voci mozze e senza destino. Fanno finta di celebrare la vita del poeta e
invece ne celebrano lieti la morte e le loro espressioni sembrano di compianto
solo per chi non sa come guardarli davvero. Del resto, cosa sanno del poeta?
Cosa hanno mai saputo? Cosa potrebbero mai saperne? Loro che stanno sempre
dalla parte del più forte per poter poi sgranocchiare ossa e briciole cadute
dalla tavola. Loro che non hanno mai saputo come vivere davvero neppure un
giorno delle loro vite. Loro che sono i primi ad accorrere quando c’è da
prendere un pugnale per spaccare il cuore di chi non parla la loro lingua roca.
Loro che hanno fatto del pianto il solo canto e della vergogna la sola requie.
Loro che fanno del buio la loro luce e accettano di piegarsi solo all’infamia.
Loro che sono sempre stati sugli spalti e i torrioni da cui gettavano pietre e sputi sul
poeta accovacciato tra le ortiche nel fossato e adesso vogliono arrivare a pretendere che il
poeta sia sempre stato tra i loro scranni e balconi, lasciando intendere che
anche il poeta era, come loro, uno degli empi schernitori della vita. Questa è la fiaba che vogliono raccontare dai loro pulpiti, ma chi legge sa che non è
per niente così, ed anche se loro non potranno mai coglierlo, il poeta, gli ha già risposto
tra le righe della sua opera, nascondendo messaggi che loro saranno sempre
incapaci di vedere e che sempre smentiranno le loro imbellettate parole. Il
fatto che loro siano in tanti e quelli che sanno ancora leggere siano in pochi
non significa nulla, non ha mai significato alcunché, perché loro sono sempre
stati in tanti. Essere molti è la sola cosa che sanno fare davvero, ed a questo
tende sempre il loro fiuto, ad annusare dove sta andando il branco. Il poeta
invece va da solo. Rarissimi dunque i poeti che hanno destino di trovare chi riceva le
loro parole. Il poeta, del resto, non scrive per esser accettato o per ricevere
una pacca sulla spalla, scrive perché non può fare altrimenti, scrive perché la
vita tracima nelle parole e le parole tracimano nella vita, scrive perché
qualcuno gli ha spaccato il cuore o perché qualcuno gli ha sanato quella ferita. Scrive perché il suo essere è nella sua scrittura e la sua scrittura è
nel suo essere.
Il poeta è uno o nessuno, ma non è mai molti. Loro sono
invece molti o nessuno, ma mai uno. Per questo lavorano sempre e in ogni modo
contro il poeta e non soltanto perché questi non gli assomiglia, ma perché è il loro assoluto
contrario. Oggi, nell’epoca nuova in cui questa gente dalla faccia buffa e truce
ha conquistato cime e vallate, spiagge lontane e terre vicine, torri e
cantine, cattedre, troni e poltrone, vuole anche conquistare i territori della
poesia infiltrandovisi e bivaccandovi con anime guaste e scarponi di piombo.
Non sanno che quanto più vi si avvicinano, tanto più la poesia e il pensiero si
ritraggono o, forse, lo sanno e non gl’importa, ed anche un rudere vuoto gli
sembra abbastanza per incoronare i loro eroi di cartapesta: anche una lampada
spenta è per loro luce. Perché, dunque, meravigliarsi che la nostra sia un’epoca
al buio?
(Da: Sergio Caldarella, Il poeta e i molti, «Il Pungolo» 21 settembre
2013)