Se c’è una filosofia delle finestre (Pessoa), delle candele (Bachelard), delle radure (Heidegger), dei limiti (Wittgenstein) e persino un’ontologia dei buchi, perché non dovrebbe anche esserci una filosofia delle bolle di sapone? Se assumiamo come limite del nostro mondo soltanto ciò che appare davanti agli occhi, una filosofia delle bolle di sapone, ossia una filosofia dell’evanescente, non sembrerà nient’altro che un singolare trastullo dell’intelletto, ma se invece intuiamo nel mondo qualcosa che è più del mondo, allora il nostro sguardo verso le cose cambia radicalmente. Perché, si chiedono alcuni, dovremmo mai preoccuparci di alcune insignificanti sfere di sapone che si dissolvono nell’aria dopo pochi secondi che sono state create? Chi pone questa domanda decide, arbitrariamente, che siano il tempo e il peso le misure grazie alle quali si quantifica il valore delle esistenze. Cosicché se proviamo a rapportare a questa metrica il tempo medio della vita umana con quello, ad esempio, degli elefanti o degli astri, dovremmo dedurne che la nostra vita, in conformità a questo criterio valutativo, è meno importante della loro. E’ sempre un discorso molto delicato e spesso pericoloso quello di chi cerca di trovare criteri di valutazione grazie ai quali sia possibile “pesare” ogni cosa. La storia sia umana, sia individuale, ci ha insegnato che questo criteri sono una chimera di chi non fa altro che assumere unicamente se stesso come limite. Certo, se ogni cosa fosse soltanto in ciò che appare potremmo ancora pensare che la luna ha una sola “faccia”, che il sole giri intorno alla terra, oppure che l’acqua è soltanto qualcosa di liquido e bagnato. Quando, però, cerchiamo di capire qualcosa in più sulle cose – ma anche su noi stessi – ci accorgiamo che la luna ha due “facce”, che la terra ruota intorno al sole secondo precise orbite ellittiche e che l’acqua è un composto di atomi semplici come idrogeno e ossigeno, per limitarci ad un solo livello. Nelle cose e nelle parole non ci sono soltanto dei lati che non vediamo e che, magari, possiamo arrivare a conoscere indirettamente, in esse c’è anche un inesprimibile scarto di senso, qualcosa che non riusciamo a definire ma di cui intuiamo una sorta di “esistenza” (gli antichi coglievano questo aspetto nel “nume” che intravedevano dal sasso fino alla stella lontana). Nel campo dei sentimenti questo aspetto è colto da gran parte degli esseri umani, anche da quelli che in una bolla di sapone non vedono nulla oltre a ciò che appare.
Le bolle di sapone, queste piccole sfere dai riflessi bluastri, possono anche apparirci come messaggeri di mondi lontani, quasi come i fiocchi di neve: epifanie di mondi lontani che attraverso il biancore o la trasparenza sussurrano qualcosa alla nostra individualità, stabilmente radicata nel grigiore di cose quotidiane e scontate. Ci manca sempre qualcosa che non abbiamo, ma ciò che ci manca più di tutto è un mondo delicato, silente, vicino più alle nostre sensibilità interiori che al nostro corpo. La filosofia delle bolle di sapone è come un’ontologia delle forme di luce in cui si rivelano strane ed evanescenti realtà mascherate da sapone e acqua sotto le vesti di una sfera perfetta.
Le bolle di sapone, queste piccole sfere dai riflessi bluastri, possono anche apparirci come messaggeri di mondi lontani, quasi come i fiocchi di neve: epifanie di mondi lontani che attraverso il biancore o la trasparenza sussurrano qualcosa alla nostra individualità, stabilmente radicata nel grigiore di cose quotidiane e scontate. Ci manca sempre qualcosa che non abbiamo, ma ciò che ci manca più di tutto è un mondo delicato, silente, vicino più alle nostre sensibilità interiori che al nostro corpo. La filosofia delle bolle di sapone è come un’ontologia delle forme di luce in cui si rivelano strane ed evanescenti realtà mascherate da sapone e acqua sotto le vesti di una sfera perfetta.
(Tratto da: Sergio Caldarella, Filosofia delle bolle di sapone, in "Rivista di Scienze e Lettere", Vol. XXVII Firenze 1996, pp. 67-73)