Alcuni hanno sollecitato una chiarificazione a proposito del post precedente (“Quando troppo non è ancora abbastanza”) e, in particolare, sulla ragione per la quale scrivo che Lapace aveva fornito a Napoleone una risposta ben più arguta dei vari Hawking, Dawkins e brutta compagnia.
La risposta di Laplace “je n'avais pas besoin de cette hypothèse-là”, è autenticamente scientifica e si connette anche alla vecchia diatriba, nel ‘700 certamente più viva di quanto non sia oggi, tra scienza e religione e si inserisce pienamente nell’alveo di una serie di osservazioni che già il vecchio Galilei, seppur in altri termini, poneva ai teologi dell’Inquisizione. Infatti, larga parte della difesa del pisano in risposta alle accuse di Santa Romana Chiesa, è proprio nell’insistere sulla separazione tra i domini di scienza e teologia. Chiaramente all’epoca la teologia era considerata come madre di ogni sapere e la questione era certamente anche politica – e Galilei, per quello che poteva, ribatteva anche sul versante politico. Quella che sostanzialmente Galilei ribadiva era la differenza tra le verità di fede e le verità di ragione che faceva parte del pensiero teologico da tempi antichissimi.Tommaso d’Aquino aveva già definito fede e ragione come processi conoscitivi diversi, dando chiaramente priorità alla teologia. Galilei cerca invece di motivare questa distanza filosofica tra le due discipline dicendo che l’una non ha legami diretti con l’altra e pertanto, tra le due, non vi possono essere conflitti o contraddizioni. La scienza non ha bisogno di negare quello che non le serve per giustificare le sue leggi e teorie e questo era già chiaro ai tempi di Galilei. Per questo Laplace non dice, come fanno certi contemporanei, “il Creatore non esiste”, ma semplicemente “non ho bisogno di quest’ipotesi”. Scienza e religione appartengono a due domini diversi. Della frase di Laplace si sono fatti molti usi, ma si sa che la politica gioca qui un ruolo fondamentale. Purtroppo non è politicamente indifferente dichiararsi ateo o credente.
Come si diceva nel post precedente la differenza tra i tempi passati e i nostri è nella grossolanità con cui vengono fatte affermazioni di grande complessità senza tenere in alcun conto la storia del pensiero, ma neppure gli aspetti più profondi della scienza. Già da un punto di vista puramente scientifico è impossibile giustificare la certezza assoluta del fatto che domani sorgerà il sole. Se un fisico dovesse dire ad un matematico “sono certo che domani sorgerà il sole” al matematico basterebbe rispondere: “dimostralo” per smascherare la presunta scientificità di una tale dichiarazione. Anche se il fisico dicesse, come il nostro Hawking, che “l'esistenza dell'universo non richiede l'intervento di un essere sovranaturale” basterebbe chiedergli “dimostralo” per metterlo a tacere. Ma si sa che nel nostro tempo la sciocchezza e l’idiozia passano per sapienza e al sapere allora non resta che vestire i soliti poveri panni di sempre, gli stessi che indossava l’incarnazione della filosofia quando apparì a Manlio Severino Boezio nella sua cella prima che lo trucidassero.
La risposta di Laplace “je n'avais pas besoin de cette hypothèse-là”, è autenticamente scientifica e si connette anche alla vecchia diatriba, nel ‘700 certamente più viva di quanto non sia oggi, tra scienza e religione e si inserisce pienamente nell’alveo di una serie di osservazioni che già il vecchio Galilei, seppur in altri termini, poneva ai teologi dell’Inquisizione. Infatti, larga parte della difesa del pisano in risposta alle accuse di Santa Romana Chiesa, è proprio nell’insistere sulla separazione tra i domini di scienza e teologia. Chiaramente all’epoca la teologia era considerata come madre di ogni sapere e la questione era certamente anche politica – e Galilei, per quello che poteva, ribatteva anche sul versante politico. Quella che sostanzialmente Galilei ribadiva era la differenza tra le verità di fede e le verità di ragione che faceva parte del pensiero teologico da tempi antichissimi.Tommaso d’Aquino aveva già definito fede e ragione come processi conoscitivi diversi, dando chiaramente priorità alla teologia. Galilei cerca invece di motivare questa distanza filosofica tra le due discipline dicendo che l’una non ha legami diretti con l’altra e pertanto, tra le due, non vi possono essere conflitti o contraddizioni. La scienza non ha bisogno di negare quello che non le serve per giustificare le sue leggi e teorie e questo era già chiaro ai tempi di Galilei. Per questo Laplace non dice, come fanno certi contemporanei, “il Creatore non esiste”, ma semplicemente “non ho bisogno di quest’ipotesi”. Scienza e religione appartengono a due domini diversi. Della frase di Laplace si sono fatti molti usi, ma si sa che la politica gioca qui un ruolo fondamentale. Purtroppo non è politicamente indifferente dichiararsi ateo o credente.
Come si diceva nel post precedente la differenza tra i tempi passati e i nostri è nella grossolanità con cui vengono fatte affermazioni di grande complessità senza tenere in alcun conto la storia del pensiero, ma neppure gli aspetti più profondi della scienza. Già da un punto di vista puramente scientifico è impossibile giustificare la certezza assoluta del fatto che domani sorgerà il sole. Se un fisico dovesse dire ad un matematico “sono certo che domani sorgerà il sole” al matematico basterebbe rispondere: “dimostralo” per smascherare la presunta scientificità di una tale dichiarazione. Anche se il fisico dicesse, come il nostro Hawking, che “l'esistenza dell'universo non richiede l'intervento di un essere sovranaturale” basterebbe chiedergli “dimostralo” per metterlo a tacere. Ma si sa che nel nostro tempo la sciocchezza e l’idiozia passano per sapienza e al sapere allora non resta che vestire i soliti poveri panni di sempre, gli stessi che indossava l’incarnazione della filosofia quando apparì a Manlio Severino Boezio nella sua cella prima che lo trucidassero.