Il
fatto che Zygmunt Bauman, come si evince dal video della “lezione” al Teatro
Franco Parenti di Milano (5 febbraio 2015), rimanga talmente affascinato
dall’opera teatrale contemporanea Good
people di David Lindsay-Abaire, un racconto senza racconto che egli cita e
dall’ambivalenza etica del personaggio (Stevie) che detiene, in questo testo teatrale,
un micropotere che lo forza ad agire in maniera contraria alle sue convinzioni
etiche, dimostra solo la morbosa attrazione che individui come Bauman provano
per l’ambiguità etica così centrale nelle loro vite e carriere. L’atteggiamento
che Bauman descrive nel comportamento di quel supervisore (Stevie) nella piece
teatrale di una banalità stravolgente è eticamente aberrante e non può
contenere alcuna giustificazione né alcuna morale se non quella della mera
aberrazione alla quale il potere pretende sempre, invece, di conferire una
legittimazione che non possiede. La questione sul presunto carattere di Stevie
non è per nulla se egli sia “buono” o “cattivo”, come la vuol proporre Bauman o
come si faceva una volta nelle scuole elementari con i buoni da un lato ed i
cattivi sull’altro lato della lavagna, ma è ancora il tema della responsabilità
e dell’agire individuale di fronte alla società.
Questo
tema della presunta ed assoluta necessità sociale di obbedire a dei dettami
viene proposto da lungo tempo, ma nella modernità ha assunto un carattere
grottesco, soprattutto quando si considera l’uso che ne fecero i gerarchi
nazisti al processo di Norimberga e, successivamente, Adolf Eichmann durante il
processo di Gerusalemme dichiarando di “aver eseguito solo degli ordini” (Ich habe nur Befehle ausgeführt). Agire
in conformità ad un ordine mostruoso o aberrante significa soltanto agire in
maniera mostruosa o aberrante ed il fatto che l’orrore possa venir proposto, o
introdotto, nella forma di un ordine gerarchico non ne mitiga né riduce in
alcun modo la responsabilità degli esecutori. Chiunque agisca secondo principi
che considera in sé discutibili o apertamente immorali sta agendo immoralmente
e basta! Il concetto del dirigente che dice, come nell’esempio carezzato da
Baumann, “sai, mi dispiace, ma devo eseguire degli ordini o agire in conformità
ad un modello altrimenti perderei anch’io il posto di lavoro e, per questo,
devo licenziarti” è la mera riproposizione della vecchia argomentazione secondo
cui l’autorità solleva dalla responsabilità e dal giudizio etico. L’autorità di
coloro che non percepiscono più un’eventuale dissonanza tra etica e comando
(diversa da etica e comandamento) si trasforma in un mero potere di esecuzione
di direttive impartite da coloro che hanno il controllo reale e gli esecutori di
questi dettami si contentano, o si rallegrano, di esser ombre parassitarie del
potere e, per questa magra parvenza, vendono e svendono anche l’anima. Come ben
direbbe Victor Hugo: «C’è gente che pagherebbe per vendersi». In realtà Bauman–
e tutti quelli (troppi) che traggono stipendiato vantaggio dalla terribile
situazione concettuale della modernità –, con il suo discorsetto ambiguo che
ripete antichi copioni, sta semplicemente giustificando se stesso e tutti
coloro i quali mettono bellamente in pace la loro coscienza, o quei brandelli
rimasti, ripetendo a se stessi e dicendo agli altri che hanno solo eseguito gli
ordini di chi regge il bastone – e questa è, forse, proprio la ragione
principale per la quale il discorsetto “carino” di Bauman piace ai molti.
Come
sarebbe bello poter chiedere a questi signori come Bauman: “ma voi che parlate
in maniera così aulica ed altisonante cosa fate, poi, oltre a queste belle
parole che siete tanto bravi a propagare?” Sans erreur de ma part, il signor
Bauman è uno dei tanti che sono stati per tutta la vita parte piena ed integrante
dell’establishment accademico e sociale della nostra epoca, oppure erro? Già da
giovanissimo, uno dei suoi primi incarichi durante la guerra, mentre era membro
della Prima Armata Polacca organizzata dai sovietici, era anche quello di “istruttore
di educazione politica” che, all’epoca, era un altro nome per i propagandisti
di regime o commissari politici. Il fatto che, a suo tempo, sia stato oggetto
di campagne denigratorie e diffamatorie da parte dei suoi vecchi padroni/compagni
sembra gli abbia conferito, in occidente, un’aureola di santità culturale che
egli certo non possiede in quanto è semplicemente passato dal padrone in toga
rossa a quello con il doppio petto in grigio; Bauman non è certo un Aleksandr Solženitsyn
come si vorrebbe far credere e tutto il suo curriculum lo dimostra – o la
comparazione tra i due curricula. Questo signore è stato, per tutta la vita, un
accademico stipendiato, ossia un becchino della cultura, proprio in quelle sedi
che rappresentano i luoghi cardine e paradigmatici della degradazione
etico-culturale della nostra epoca e adesso se ne viene a fare dei bei
discorsetti sulla situazione di quella stessa società di cui è complice e corresponsabile?
La corresponsabilità di Bauman è anche data dall’aver provveduto a formare
(fornire certificati) ai rampolli di quella borghesia che sostiene e impone
questo modello di mondo autoritario basato sul comando e il bastone o, come
direbbero altri, sulla carota e il bastone. Come diceva un vero grande
intellettuale di un tempo: «no es raro encontrarse con ladrones que predican
contra el robo, non è raro incontrare dei ladri che predicano contro il furto»
(Miguel de Unamuno). Inoltre, se questi blateratori di belle parole fossero
davvero molesti ai controllori del mondo, quelli che reggono saldamente il
bastone, potete stare ben tranquilli che non verrebbero pubblicati con gran
fanfara né verrebbero chiamati ad interloquire in vasti forum, né riceverebbero
premi e premietti un po’ ovunque. Rimane da porsi una domanda chiave: ma perché
tutta questa sofistica ammansente? Cui
prodest?