Partiamo innanzitutto da un punto fermo: la nota frase attribuita al marchese Massimo d’Azeglio secondo cui l’Italia era stata fatta e quello che restava ancora da fare erano gli Italiani non ha mai avuto alcun fondamento di verità e non solo per via dell’incerta attribuzione. L’altisonante dichiarazione piace, forse, a chi ha il gusto della retorica – questo sì antico vezzo italico, ma già ai tempi del marchese d’Azeglio gli Italiani erano belli e fatti, tanto quanto lo sono oggi. Quando i moderni pronipoti illegittimi del D’Azeglio parlano delle “profonde” differenze tra il nord e il sud d’Italia invocando federalismi bottegai, in realtà confermano proprio quella profonda unità d’Italia, invisibile solo quando non la si vuole proprio vedere.
Se gli Italiani non fossero già stati “fatti” in illo tempore, come si potrebbero allora spiegare certe continuità storiche nelle loro scelte? Gli Italiani erano già “fatti” ancor prima del Machiavelli. Cos’è altrimenti la Divina Commedia, se non una maestosa allegoria poetica dell’Italia di ogni tempo? Se riconosciamo questo fatto possiamo allora ben dire che il carattere dell’Italiano preesiste all’Italia. In Dante ci sono i cornuti e i santi, gli eroi e i carnefici, i vili e le vittime, gli amanti e gli indifferenti, i poveri di spirito e i poveri per lo spirito. In Dante c’è l’Italia tutta e in questo risiede la sua costante attualità al punto che Benigni, nelle sue letture pubbliche del poeta, riesce ancora oggi a riempire intere piazze in tutto il Paese.
Gli Italiani non sono uniti nelle virtù, quanto lo sono nei vizi e nelle radicate cattive abitudini. Il fascismo, movimento politico autenticamente italiano, invocava con voce grossa le "nobilissime virtù italiche", preferendo ignorare che gli Italiani sono invece accomunati non dalle nobili virtù quanto dai grandi difetti. Nella virtù gli Italiani sono tutti diversi, nei vizi tutti uguali.
Quando si capisce la coerenza storica – e intendiamoci “coerenza” non è sempre una parola buona – della mentalità italiana, allora si capisce la drammatica similarità dei vari capi e capetti del Bel Paese e delle buffonerie con parvenza di serietà come Starace che si tuffava nel cerchio di fuoco, Angelino Alfano Ministro della Repubblica, la decadente dinastia dei Savoia, il pagliaccio in nero del Ventennio, l’oscuro Andreotti, il piazzista Berlusconi e tutta la pletora di conduttori e caudatari che da sempre circonda questi figuri. Il largo gradimento degli Italiani per questi raffazzonatissimi leader è proprio uno dei segni della loro profonda unità.
(© Sergio Caldarella)