Alla domanda: “qual
è il vero punto di forza del Capitale e dei potentati contemporanei?” Alcuni
risponderebbero: “la produzione”, “il denaro”, “il plusvalore”, “la catena di
montaggio”, “la globalizzazione”, etc. tutte osservazioni corrette e, al tempo
stesso, parziali. A dispetto di quanto i materialisti credono, anche i più
gretti e peggiori come il non compianto Milton Friedman, l’uomo non è mai mosso
da fini materiali, ma dalle sue finzioni. Ogni società possiede i suoi miti e
coloro che gestiscono la società globale questo lo hanno capito da tempo e sono
ben consci che il vero punto di forza del Capitale non è la produzione, la
domanda e l’offerta o le altre prebende, ma le sue illusioni mirabolanti.
L’illusione del benessere visto solo come un fatto materiale, del denaro capace
di comprare tutto, il mito del successo, dell’immagine, il sogno di vincere
anche la morte attraverso tecnologie mediche e altro ancora. Sono queste le
illusioni alle quali i piccoli uomini si appoggiano per schiacciare la vita
vera e costringere la gente a decisioni che altrimenti non prenderebbe mai.
Oggi si pensa di decidere con la mente calcolante che pretende di trasformare
ogni aspetto dell’esistenza in numeretti, ma invece si decide pur sempre nella
cornice di una bella illusione creata ad arte da pochi furbetti. È singolare
osservare come l’illiberalismo capitalista contemporaneo, appena mascherato da
un velo di rozza propaganda, non venga ormai quasi più percepito e da molti
menestrelli ritenuto persino alla fine. Da un altro punto di vista, la presunta
crisi attuale potrebbe invece mostrarsi come un riassetto planetario delle
forze del grande capitale che, utilizzando i suoi soliti sgherri, sta regolando
i conti con la classe operaia in quei luoghi del mondo ove essa ha avuto
l’ardire di sollevare la testa. Fin quando hanno avuto bisogno di far uso della
carota, allora l’hanno utilizzata, ed ora che la produzione globale consente
anche una delocalizzazione pressoché totale, stanno semplicemente tornando al
bastone.
La vita è fatta
di istanti e non di cose e siccome gli uomini sentono più di quanto
comprendono, sono necessarie mitologie sociali potenti e condivise per
distorglierli da ciò che essi realmente sono o potrebbero essere. Ogni mito è in
sé neutrale, quello che importa è l’uso che ne viene fatto. La società del
Capitale ha allora inventato i suoi molti miti e gli innumerevoli giochi con
cui riuscire ad abbindolare le genti. Bisogna sempre ricordare che, per quelli
che contano, il denaro non conta, per costoro è appena uno strumento per il
raggiungimento dei loro fini, un puro inganno perpetrato a spese dei semplici.
Del resto come potrebbero altrimenti convincere le masse eterogenee ad essere
produttive ed asservite ai loro fini? Per questo hanno creato il grande gioco
con cui irretire i popoli. Ma non è il gioco del denaro, della finanza e
dell’economia che concede il potere al Capitale quanto la semplicità degli
uomini. La stessa semplicità che faceva sì che gli indiani d’America scambiassero
pepite d’oro con perline colorate e “acqua di fuoco”. Diverte pensare che lo
stesso uomo bianco che un tempo raggirava gli indiani credendosi astutissimo
viene, a sua volta, ingannato in un gioco ancora più grande e di poco più
complesso. Pensate che pacchia: liberali e repubblicani, teosofi e spiritisti,
lustrascarpe e avvocati, comunisti e socialisti, radicali e persino molti
anarchici giocano tutti allo stesso gioco, azzuffandosi solo su chi dev’essere
a tirare i dadi o passare per primo. Nel mezzo di questa follia una sola cosa è
certa: se un gioco così non ci fosse, i potenti dovrebbero proprio inventarlo!
(Sergio
Caldarella, La società dell’illusione
in Giornale del Nuovo Millennio, 16 febb. 2013)