Sunday, May 20, 2012

Appena un appunto sul tempo e le cose


Michel Foucault darà il titolo di Les Mots et les Choses. Le parole e le cose, ad uno dei testi chiave della sua riflessione sottotitolandolo con: Une archéologie des sciences humaines. Ma che ne è invece del tempo e le cose? Cosa succede alle cose nel tempo e, inoltre, cosa succede al tempo quando si smarrisce tra le cose? L’ipseità del mondo viene rafforzata dal tempo o ne viene rettifficata, plasmata, soggiogata? Con una certa approssimazione terminologica, la scienza moderna dichiara che il tempo non esiste, anche se l’esistenza è già una funzione del tempo e bisognerebbe magari invocare qualche altra categoria. Nella teoria della relatività, il tempo diviene un’ulteriore coordinata, creando non pochi problemi e paradossi. Kurt Gödel, poi, deriverà dalle equazioni della Relatività Generale persino un universo con linee di tempo chiuse. Per i Greci molti erano invece i volti del tempo: era Chronos (Χρόνος) e Aion (αἰών), materiale e divino allo stesso tempo, cosmico e particolare, presente e assoluto, infinito e finito. In quanto divinità il tempo dei Greci sapeva soggiogare il finito. Ma il tempo non si annulla nelle cose, sono queste che invece si sciolgono nel tempo, come gli orologi liquefatti di Dalì, soggiogati dalla misura dell’eterno. La stessa cosa diranno, in modi tra loro diversi, anche autori come Kafka e Borges.

Cosa succede allora all’uomo quando decide di sottrarsi all’eternità e nuotare solo nelle paludi del tempo? Tra quelle paludi l’essere umano e il suo sentire sembrano allora una piccola cosa e per coloro incapaci di vedere oltre l’infinitesima misura delle cose, tutto si riduce e riconduce alla fosca ombra delle lancette. Chi, invece, sa come aprire gli occhi davanti al vero scopre che l’eternità è già contenuta nel presente di un istante, che si può vivere il tutto nel nulla e viceversa, che si può guardare un fiore e pensare ad un tramonto, coprire una rosa e vederla più vera, cogliere il battito d’ali di una farfalla e trovarvi i segreti dell’amore o dell’infinito. Se il tempo degli antichi soggiogava le cose era però incapace di soggiogare la volontà vera dell’uomo. Il cuore umano per le mitologie e le fiabe è sempre stato più forte di qualunque fiamma e più duro di ogni lancia con la quale lo si voleva trafiggere. Daniele entra nella fossa dei leoni con cuore sereno perché egli sa, conosce una verità interiore che gli altri, quelli che dei leoni hanno paura, non conoscono. Peccato che nessuno potrà mai spiegare nulla della verità vera a coloro che preferiscono abitare nelle tenebre chiamandole luce: Loco è là giú non tristo da martiri, ma di tenebre solo, ove i lamenti non suonan come guai, ma son sospiri (Purgatorio, VII). Osservando i fatti del mondo è particolarmente sorprendente scoprire la gran quantità di errori con i quali l’uomo contemporaneo si trastulla e distrugge la sua vita ed il suo ambiente. Scrutando la società contemporanea che, a dispetto dei tanti menestrelli che ne cantano sedicenti lodi, non è ancora una società autentica ma appena una grande tribù, ci accorgiamo di innumerevoli ingiustizie e cose sbagliate che, però, passano per scontate e impossibili da cambiare. Viene detto: sono così e basta! E non soltanto le aberrazioni criminali, ma l’ambito ben più pericoloso di quello che viene considerato “normale”. Il terreno del “normale” su cui la borghesia ha costruito questo nuovo mondo. È sbagliato il modo di vivere dei molti che vede il mondo come il terreno della competizione e non della cooperazione. È sbagliato il nostro modo di muoverci perché inquina l’aria che respiriamo, è sbagliato il nostro modo di impacchettare cibi perché produce un’immensità di rifiuti inutili, è sbagliato il nostro modo di utilizzare e consumare le acque perché inquina una risorsa primaria e chiunque sia davvero capace di pensare autonomamente sa che quest’elenco potrebbe continuare a lungo. Dai più remoti angoli dell’Asia passando per l’Africa, l’Europa o le Americhe ovunque ci sono scatoloni di metallo, plastica e gomma che producono incessantemente rumori e inquinamento per spostare uomini e merci. E tutto questo lo chiamiamo economia, sviluppo, progresso e tante altre banalità ideologiche. Per questo devono poi cambiare il nome a tutto, un po’ come nell’avvertimento di Tacito: Ubi solitudinem faciunt pacem appellant, Dove creano un deserto lo chiamano pace.
(© Sergio Caldarella)