Qualche anno addietro, nel corso di un incontro pubblico a Francoforte sul Meno, l’ex Presidente della Camera dei Deputati Fausto Bertinotti, preso da chissà quale chimera, dichiarò che stiamo assistendo alla fase finale del capitalismo che, sempre a suo dire, mostra i segni della sua lenta disgregazione (cito a memoria). All’epoca osservai al compagno Bertinotti che, leggendo i molti segni del tempo, si poteva invece dedurre che stavamo assistendo proprio al processo opposto e contrario a quello da lui appena proposto. Nell’epoca in cui viviamo, non soltanto il grande capitale ha esteso il suo controllo ideologico in maniera capillare e globale, ma diventano sempre meno coloro i quali riescono persino ad accorgersi di questa cappa che i poteri forti impongono sulla società. Feci appena in tempo a finire di parlare che altri tra il pubblico si associarono all’intervento mentre Bertinotti, vedendo che larga parte della platea dissentiva dalla sua tesi, invece di raccogliere il germe di conversazione e cercare di ampliare la discussione, si limitò a glissare, cambiando abilmente discorso.
Chi del resto è abituato a vivere nelle stanze del potere sembra assuma spesso una struttura argomentativa rigida e questa pare sia una speciosa malattia del potere, una tra le tante. A destra si dice “fai quel che ti dico e taci”, mentre a sinistra si afferma: “dì quel che pensi ma fai quel che ti dico”, semmai parlare di destra o sinistra ha ancora un senso. Quanto più aumentano poi i mezzi tecnici di una società, ossia quanto più aumenta la sua volontà di potenza, tanto più aumenta la rigidità delle sue argomentazioni/giustificazioni. Inoltre, la struttura argomentativa rigida, sembra non sia più una sola prerogativa dei potentati temporali, ma di quasi tutti i membri di una società orientata verso la volontà di potenza dal Primo Ministro al medico, dall’accademico al posteggiatore d’auto, pare siano tutti affetti da questo nuovo morbo di pensare di sapere tutto di tutto senza sapere come. Questo produce una società in cui si pretende di argomentare sulla base di principi rigidi al punto in cui dissentire da un argomento, invece di essere un invito alla chiarificazione ed alla crescita, diventa, come in altre epoche buie, un atto reazionario, ribelle, arrogante e di lesa Iulia maiestatis. Una maiestatis palesemente immaginaria, o spesso d’argent, che ognuno pensa di aver assunto per accidens. Ma la falsa maestà di cui l’uomo contemporaneo si sente portatore è appena uno tra i tanti sintomi della sua hybris, illusioni e manie di grandezza.
È singolare osservare come il sostanziale illiberalismo capitalista, appena mascherato da un velo di rozza propaganda, non venga ormai quasi più percepito e, come nel caso di Bertinotti, persino ritenuto alla fine. Da un altro punto di vista, la presunta crisi attuale potrebbe invece mostrarsi come un riassetto planetario delle forze del grande capitale che, utilizzando i suoi soliti sgherri, sta regolando i conti con la classe operaia in quei luoghi del mondo ove essa ha avuto l’ardire di sollevare la testa. Fin quando hanno avuto bisogno di far uso della carota, allora l’anno utilizzata, ora che la produzione globale consente anche una delocalizzazione pressoché totale stanno semplicemente tornando al bastone.
Bertinotti, come altri, non riesce invece ad immaginare che la crisi sia uno strumento del capitale e non una conseguenza del capitalismo né, tantomeno, un indizio della sua fine. Ma qual è il vero punto di forza del capitale? Alcuni risponderebbero “la produzione”, “il denaro”, “il plusvalore”, “la catena di montaggio”, “la globalizzazione”, etc. tutte osservazioni corrette e, al tempo stesso, parziali. A dispetto di quanto i materialisti credono, anche i più gretti e peggiori come il non compianto Milton Friedman, l’uomo non è mai mosso da fini materiali, ma dalle sue finzioni. Ogni società possiede i suoi miti e coloro che gestiscono la società globale questo lo hanno capito molto bene e sono ben consci che il vero punto di forza del capitale non è la produzione, la domanda e l’offerta o le altre prebende, ma le sue illusioni. L’illusione del benessere, del denaro che compra tutto, il mito del successo, dell’immagine, il sogno di vincere anche la morte attraverso la materia e altro ancora. Sono le illusioni alle quali questi piccoli uomini si sostengono per schiacciare la vita vera e costringere la gente a decisioni che altrimenti non prenderebbe mai. Oggi si pensa di decidere con il cervello e non con il cuore, ma invece si decide nella cornice di una bella illusione creata ad arte da altri. La vita è fatta di istanti non di cose e siccome gli uomini sentono più di quanto comprendono sono necessarie mitologie sociali potenti e condivise per distorglierli da ciò che essi realmente sono o potrebbero essere. Ogni mito è in sé neutrale, quello che importa è l’uso che ne viene fatto. La società del capitale ha allora inventato i suoi molti miti e gli innumerevoli giochi con cui riuscire ad abbindolare le genti. Bisogna sempre ricordare che per quelli che contano il denaro non conta, è appena uno strumento per il raggiungimento dei loro fini, un inganno perpetrato a spese dei semplici. Del resto come potrebbero altrimenti convincere le masse eterogenee ad essere produttive ed asservite ai loro fini? Per questo hanno allora creato il grande gioco con cui irretire i popoli. Ma non è il gioco del denaro, della finanza e dell’economia che concede il potere al capitale quanto la semplicità degli uomini. La stessa semplicità che faceva sì che gli indiani d’America scambiassero pepite d’oro con perline colorate e “acqua di fuoco”. Diverte pensare che l’uomo bianco che raggirava gli indiani credendosi astutissimo era, a sua volta, ingannato in un gioco ancora più grande e di poco più complesso. Pensate che pacchia: liberali e repubblicani, teosofi e spiritisti, lustrascarpe e avvocati, comunisti e socialisti, radicali e persino molti anarchici giocano tutti allo stesso gioco, azzuffandosi solo su chi dev’essere a tirare i dadi. Nel mezzo di questa follia una sola cosa è certa: se un gioco così non ci fosse, i potenti dovrebbero proprio inventarlo!
(Sergio Caldarella)
Chi del resto è abituato a vivere nelle stanze del potere sembra assuma spesso una struttura argomentativa rigida e questa pare sia una speciosa malattia del potere, una tra le tante. A destra si dice “fai quel che ti dico e taci”, mentre a sinistra si afferma: “dì quel che pensi ma fai quel che ti dico”, semmai parlare di destra o sinistra ha ancora un senso. Quanto più aumentano poi i mezzi tecnici di una società, ossia quanto più aumenta la sua volontà di potenza, tanto più aumenta la rigidità delle sue argomentazioni/giustificazioni. Inoltre, la struttura argomentativa rigida, sembra non sia più una sola prerogativa dei potentati temporali, ma di quasi tutti i membri di una società orientata verso la volontà di potenza dal Primo Ministro al medico, dall’accademico al posteggiatore d’auto, pare siano tutti affetti da questo nuovo morbo di pensare di sapere tutto di tutto senza sapere come. Questo produce una società in cui si pretende di argomentare sulla base di principi rigidi al punto in cui dissentire da un argomento, invece di essere un invito alla chiarificazione ed alla crescita, diventa, come in altre epoche buie, un atto reazionario, ribelle, arrogante e di lesa Iulia maiestatis. Una maiestatis palesemente immaginaria, o spesso d’argent, che ognuno pensa di aver assunto per accidens. Ma la falsa maestà di cui l’uomo contemporaneo si sente portatore è appena uno tra i tanti sintomi della sua hybris, illusioni e manie di grandezza.
È singolare osservare come il sostanziale illiberalismo capitalista, appena mascherato da un velo di rozza propaganda, non venga ormai quasi più percepito e, come nel caso di Bertinotti, persino ritenuto alla fine. Da un altro punto di vista, la presunta crisi attuale potrebbe invece mostrarsi come un riassetto planetario delle forze del grande capitale che, utilizzando i suoi soliti sgherri, sta regolando i conti con la classe operaia in quei luoghi del mondo ove essa ha avuto l’ardire di sollevare la testa. Fin quando hanno avuto bisogno di far uso della carota, allora l’anno utilizzata, ora che la produzione globale consente anche una delocalizzazione pressoché totale stanno semplicemente tornando al bastone.
Bertinotti, come altri, non riesce invece ad immaginare che la crisi sia uno strumento del capitale e non una conseguenza del capitalismo né, tantomeno, un indizio della sua fine. Ma qual è il vero punto di forza del capitale? Alcuni risponderebbero “la produzione”, “il denaro”, “il plusvalore”, “la catena di montaggio”, “la globalizzazione”, etc. tutte osservazioni corrette e, al tempo stesso, parziali. A dispetto di quanto i materialisti credono, anche i più gretti e peggiori come il non compianto Milton Friedman, l’uomo non è mai mosso da fini materiali, ma dalle sue finzioni. Ogni società possiede i suoi miti e coloro che gestiscono la società globale questo lo hanno capito molto bene e sono ben consci che il vero punto di forza del capitale non è la produzione, la domanda e l’offerta o le altre prebende, ma le sue illusioni. L’illusione del benessere, del denaro che compra tutto, il mito del successo, dell’immagine, il sogno di vincere anche la morte attraverso la materia e altro ancora. Sono le illusioni alle quali questi piccoli uomini si sostengono per schiacciare la vita vera e costringere la gente a decisioni che altrimenti non prenderebbe mai. Oggi si pensa di decidere con il cervello e non con il cuore, ma invece si decide nella cornice di una bella illusione creata ad arte da altri. La vita è fatta di istanti non di cose e siccome gli uomini sentono più di quanto comprendono sono necessarie mitologie sociali potenti e condivise per distorglierli da ciò che essi realmente sono o potrebbero essere. Ogni mito è in sé neutrale, quello che importa è l’uso che ne viene fatto. La società del capitale ha allora inventato i suoi molti miti e gli innumerevoli giochi con cui riuscire ad abbindolare le genti. Bisogna sempre ricordare che per quelli che contano il denaro non conta, è appena uno strumento per il raggiungimento dei loro fini, un inganno perpetrato a spese dei semplici. Del resto come potrebbero altrimenti convincere le masse eterogenee ad essere produttive ed asservite ai loro fini? Per questo hanno allora creato il grande gioco con cui irretire i popoli. Ma non è il gioco del denaro, della finanza e dell’economia che concede il potere al capitale quanto la semplicità degli uomini. La stessa semplicità che faceva sì che gli indiani d’America scambiassero pepite d’oro con perline colorate e “acqua di fuoco”. Diverte pensare che l’uomo bianco che raggirava gli indiani credendosi astutissimo era, a sua volta, ingannato in un gioco ancora più grande e di poco più complesso. Pensate che pacchia: liberali e repubblicani, teosofi e spiritisti, lustrascarpe e avvocati, comunisti e socialisti, radicali e persino molti anarchici giocano tutti allo stesso gioco, azzuffandosi solo su chi dev’essere a tirare i dadi. Nel mezzo di questa follia una sola cosa è certa: se un gioco così non ci fosse, i potenti dovrebbero proprio inventarlo!
(Sergio Caldarella)