Quello in cui ci è ormai dato vivere si presenta
come un mondo in cui il pensiero è stato, da tempo, estradato e sopraffatto in
modi innumerevoli e reso non soltanto nullo, ma anche impossibile da perseguire
o comunicare su larga scala. Per la sciocchezza, l’idiozia, la cialtroneria ed
il vacuo vi sono, invece, possibilità enormi, sconfinate, un tempo persino
inconcepibili – lo spazio della hybris
era, in passato, quello che definiva, in genere, il violento e il tiranno,
dunque una dimensione della tracotanza dalla quale l’individuo civile o πολίτης, il cittadino, si sottraeva. Gli unici spazi di
comunicazione, apparentemente culturali, oggi rimasti sembrano, invece,
riservati unicamente a coloro i quali obbediscono, consciamente o inconsciamente,
al potere costituito ed all’ideologia dominante e l’abdicare del pensiero alla
forza appare, ormai, come la sola regola rimasta per garantire anche un minimo
di partecipazione sociale attiva, giungendo al punto in cui la socialità viene
contrabbandata come sinonimo di conformità. Tutto questo significa, in altri
termini, che viviamo nell’era dell’obbedienza più assoluta la quale ama, però,
proclamarsi come l’epoca più libera della storia, una «libertà» millantata
attraverso il consumo, i mezzi di comunicazione di massa ed una gestione
politica partitocratica eterodiretta dalle oligarchie commerciali. È proprio
nel dominio dell’economia sulla politica che si palesa, infatti, il predominio
effettivo dell’apparato economico commerciale su quello sociale; un’inversione
innaturale che rivela un controllo primario di gruppi di potere di non eletti
su un’oligarchia partitica la quale, dietro la parvenza di una formalità
democratica, mantiene il controllo sulle popolazioni sottoposte ai diversi
ordinamenti giuridici. È proprio nella precipua scomparsa del pensiero
dall’arena pubblica che si manifesta la radicalità del dominio del potere in
quest’epoca macabra.
Il buco di senso che la dissoluzione culturale
imposta dalla volontà di potenza introduce
nella società umana diventa, poi, anche un vuoto maligno nel cuore, nell’anima
e nella mente degli esseri umani, un’assenza spaventevole in cui si riesce a
trovare spazio, tempo e fondi per quasi ogni credenza e ideologia, ma non più
per il pensiero, la critica, il rispetto per le idee, la reverenza per la
conoscenza e, in conseguenza, la reverenza
per la vita (Ehrfurcht vor dem Leben).
In tale amaro contesto, quel che domina è il trionfo più squinternato dell’opinione (δόξα) in
cui prevale una doxa bieca ed orribile
ritagliata a misura dell’anus e
capace di trasformare qualunque verità in infamia ed offesa e qualunque
menzogna nella più sgargiante delle verità. Günther Anders, con la sua lucida
precisione, aveva già osservato: Die Lüge hat sich wahr – gelogen, la bugia ha mentito se stessa come vera.
Attraverso il tragico vuoto di senso, posto
dalla modernità al centro delle società umane, viene resa possibile
l’inversione di qualsivoglia aspetto del vivere trasformando, secondo arbitrio,
ogni cosa nel suo contrario ed arrivando, politicamente, all’istituzione di una
paradossale democrazia totalitaria,
denominata invece come «democrazia capitalista». Nella sostanza, «democrazia
capitalista» significa soltanto che il cittadino, il singolo, non ha più alcun
potere politico, né alcun controllo sulla direzione della società in cui vive
ed in cui, da elemento attivo, diventa un mero sottoposto al quale, ogni
quattro anni, viene richiesto di mettere una crocetta su questo o quell’altro
candidato di partito. Finché vi saranno abbastanza cittadini mantenuti in uno
stato di soggezione culturale, disinformazione e indottrinamento, costoro rimarranno
intrappolati in una visione del mondo costruita ad arte, con il solo fine di
favorire oltre ogni limite i pochi che detengono i mezzi e sarà sempre
possibile, proprio per quei pochi, mantenere un saldo controllo sulla socialità
intera. Tale meccanismo non può essere facilmente contrastato unicamente
attraverso la proposta di contenuti autenticamente culturali, ossia indifferenti
all’ideologia, grazie ai quali offrire strumenti concettuali e di confronto con
altri modelli interpretativi capaci di consentire lo sviluppo di pensieri
autonomi. La capacità di pensiero autonomo, dunque critico, potrebbe certo
consentire al cittadino di scrollarsi di dosso l’apparato di opinioni che gli è
stato impartito per carpirne il consenso e la partecipazione se non fosse che,
nel momento in cui questi è integralmente parte di un sistema
dell’indottrinamento e di «manifattura del consenso», anche la sua capacità di
riconoscere contenuti culturalmente validi è stata non soltanto danneggiata, ma
diretta altrove. Rimediare al massiccio, capillare e scientifico
condizionamento che la società contemporanea è in grado di imprimere sui propri
membri è impresa indubbiamente titanica e certamente di difficile realizzazione
quantitativa.
L’Ecclesiaste
lamenterà: «Ho visto degli schiavi a cavallo e dei prìncipi andare a piedi come
degli schiavi» (10:7), l’emblema forse più evidente di una società del contrario che, già allora, si presentava con lo stesso
volto di oggi, ma senza la radicalità e capillarità ideologiche e materiali
raggiunte dai satrapi moderni.
Qualunque trasformazione all’interno di un
sistema della confusione è ancora confusione, così l’incremento abissale dello
sproloquio contemporaneo genera sempre più rumore, sempre più allontanamento
dal pensiero e da se stessi. Senza pensiero non rimane più la possibilità di
fondare alcunché e la koinè che è
possibile creare attraverso la costruzione di un discorso condiviso,
un’ermeneutica in cui vi siano riverberi concettuali e non mera sofistica dello
pseudo-interesse ed eterogenesi dei fini, scompare insieme a ciò che rendeva la
vita umana ricolma di un senso indipendente e, dunque, piena e vera. Il disagio
e l’angoscia dell’essere umano contemporaneo sono anche il prodotto della
deprivazione di un senso autonomo della sua esistenza propria che,
rivoltandoglisi contro, giunge a soggiogarlo rendendolo simile ad una barchetta
sperduta in un oceano ormai inconcepibilmente estraneo e fondamentalmente
ostile. Tutte quelle prospettive autenticamente umane offerte dal pensiero
naufragano, allora, nel mare dell’interesse materiale con cui si vuol vestire
l’anima e si pretende di ritagliare i contorni dell’individuo. In un cosmo di
tal fatta non ci sono più numi né voci e non rimane nulla di caldo e
accogliente: «Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è
fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte?», declamerà Friedrich
Nietzsche (La gaia scienza, 125). Sì,
si è fatto più freddo perché gli esseri umani sono stati spaventosamente
allontanati gli uni dagli altri, perché all’alto è stato fatto corrispondere il
basso ed alla vita si è fatta corrispondere una mera sopravvivenza nel mezzo di
un pandemonio pieno di cose e di un
nulla incapace di risposta alcuna.